Il male è ovunque. Ci sono germi pericolosi che possono mandarti all’altro mondo dopo poco tempo. Ci sono i dolci tedeschi che fanno male alla salute. E poi ci sono gli ebrei, che sono comunque troppi e fuori luogo. La nonna Margarita Ivanovna è una misantropa. Supponete sempre il peggio, così non sarete colti di sorpresa. Con questa miscela di situazioni che Alina Bronsky crea all’inizio del suo nuovo libro, il lettore s’immagina un romanzo divertente e pieno di battute originali. Sfortunatamente, Bronsky non mantiene l’umorismo terso con cui comincia e che balena di tanto in tanto in seguito. Il dormitorio tedesco in cui l’autrice ci catapulta nel suo nuovo romanzo è un ex albergo dall’intonaco scrostato, in cui vivono i rifugiati arrivati dalla Russia. La nonna vigila costantemente sul nipote Max, la cui madre è morta. Non gli è permesso consumare nulla di dolce, ma è costretto a nutrirsi di verdure in purea e porridge. Poiché i germi mortali sono in agguato, non gli è nemmeno permesso di andare in bagno a scuola. Per il resto, il nipote è brutto, malaticcio e comunque non molto buono: un sermone permanente che lei continua a sbattergli in faccia. Il ragazzo fa buon viso a cattivo gioco e interpreta doverosamente la sua parte nel patchwork russo. Ruba i soldi dalla borsa della nonna, ma per il resto rimane il bravo ragazzo che le tinge perfino i capelli con la pazienza di un angelo. Solo più tardi, quando è già in contatto con suo padre che vive in Germania, riesce a emanciparsi dalla matriarca. Lei lo lascia andare, il “traditore”. Più slapstick che umorismo, episodi slegati piuttosto che una trama coerente: il nuovo romanzo di Alina Bronsky appare un po’ troppo costruito. Franziska Wolffheim, Der Spiegel

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Questo articolo è uscito sul numero 1446 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati