Non è un fiume è lungo poco più di cento pagine, ma l’esperienza di lettura è come quella di un romanzo che si estende in profondità, dove la trama principale coesiste con un’altra serie di sottotrame, di storie dentro le storie. La prima scena stabilisce il tema e circoscrive lo spazio del romanzo. Enero King, Tilo e il Negro stanno pescando nel fiume. Incontrano una resistenza che mette alla prova la loro forza. Da un lato, i corpi instabili sulla barca, dall’altro la grande razza che fa del suo meglio per rimanere attaccata al fondo. La tensione della storia sta in quella curva disegnata dalla linea quasi invisibile che va dal corpo di Enero a quello del pesce, attraversata da un sole accecante. Selva Almada mostra la forza, la natura, la lotta, la violenza e un silenzio che è rotto dal fuoco di un’arma. Tre colpi. Il sangue della bestia scorre e si fonde con l’acqua del fiume, i corpi trovano sollievo e comincia il romanzo di questi tre sconosciuti che vivono in un villaggio sul lato del continente e vanno a pescare sulle spiagge di un’isola. Selva Almada è una delle voci che ha ormai un timbro proprio nella letteratura argentina e a questo punto, per situarla come scrittrice, i riferimenti al gotico di autori del sud degli Stati Uniti come Faulkner, O’Connor o McCullers sono superflui.
María ElviraWoinilowicz, Página12

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Questo articolo è uscito sul numero 1447 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati