Patricia Lockwood (David Levenson, Getty Images)

Nel 2018, la statunitense Patricia Lockwood ha pubblicato un saggio sui danni fatti a una mente creativa da anni di eccessiva esposizione a internet. Il suo romanzo di debutto Nessuno ne parla è per certi versi un tentativo più sostanziale di rispondere alle domande poste dal saggio. La sua protagonista è un’incarnazione della stessa voce, con gli stessi problemi. Come Lockwood, è una scrittrice che è stata celebrata per i suoi buoni tweet; è invitata nelle città di tutto il mondo per parlare della nuova comunicazione e del nuovo flusso d’informazioni. Sconta gli effetti dell’avvelenamento da ironia. Internet, che lei chiama timidamente “il portale”, è per lei la vita stessa: un luogo dove è perennemente sospesa tra divertimento e orrore. Nelle pagine iniziali, la vediamo impazzire per un video di persone scagliate via da una giostra malfunzionante. Le osservazioni di Lockwood sulla realtà affettiva del portale, la trivialità scintillante dei suoi abitanti, sono sia appassionate sia inorridite. Le sue evocazioni di questa coscienza collettiva raggiungono spesso un bell’equilibrio di intensità poetica e forza analitica. “Ogni giorno la loro attenzione deve rivolgersi”, scrive, “come il luccichio di un banco di pesci, tutto in una volta, verso una nuova persona da odiare. A volte il bersaglio è un criminale di guerra, ma altre volte è qualcuno che ha fatto una sostituzione atroce nel guacamole”. Nessuno ne parla è diviso in due parti, ognuna delle quali è composta da frammenti molto brevi. La prima metà è lo studio di un’esistenza statica, una vita passata a guardare nell’abisso ribollente del portale. Dopo un evento a Toronto, la protagonista incontra un uomo che conosce grazie a internet, un personaggio che ha acquisito una certa fama per aver pubblicato online foto delle sue palle. Circa a metà del romanzo, la sorella della protagonista rimane incinta, e il bambino nasce con difetti genetici molto gravi. Eppure lei rimane impegnata, impotente, in questo nuovo senso dell’umorismo. Il linguaggio del portale è, improvvisamente, inadeguato all’intima tristezza della sua nuova realtà.
Mark O’ Connell,
The Guardian

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Questo articolo è uscito sul numero 1458 di Internazionale, a pagina 98. Compra questo numero | Abbonati