In Storia del figlio, la freccia del tempo attraversa cento anni e tre generazioni per conficcarsi nella memoria del più giovane. Alla fine del romanzo di Marie-Hélène Lafon, An­toine Léoty si trova al cimitero il 28 aprile 2008. Sta pensando al padre morto, il figlio del titolo. Un romanzo denso, per usare un aggettivo che, nel corso del libro, è impiegato per descrivere un fiume, una capigliatura, dei ragazzi e degli alberi. In un arco di dodici giorni, Marie-Hélène Lafon racconta la storia di un destino costruito intorno a una persona assente, un “buco”. André è nato nel 1924 da padre ignoto. La madre, invece di crescerlo, lo affidò alla sorella. Da un lato, una donna parigina single ed elegante che torna a Figeac, in Occitania, solo tre volte all’anno. Dall’altro, una madre amorevole sposata con un brav’uomo. Le loro figlie sono felicissime che l’adorabile cugino André condivida la loro vita. Cresciuto in questo clima, André si allontana il più possibile dal suo profondo senso di vuoto per non aver conosciuto il padre. Marie-Hélène Lafon crea continui flashback senza essere ingannevole. Rimane ancorata alla psicologia dei suoi personaggi. Il tronco principale e i rami sono famiglie decimate dalla prima guerra mondiale e ammaccate dalla seconda.
Claire Devarrieux, Libération

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Questo articolo è uscito sul numero 1465 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati