Nathan Harris (Tinder press)

La dolcezza dell’acqua si svolge in Georgia durante il torbido crepuscolo della guerra civile americana. I soldati dell’Unione hanno marciato attraverso lo stato dicendo ai neri schiavizzati che sono liberi, ma questa libertà è tra le rovine di una società bianca che ribolle di risentimento ed è determinata a mantenere la sua superiorità. Che un libro così potente sia l’esordio di Nathan Harris è notevole; che l’autore lo abbia scritto a nemmeno trent’anni è miracoloso. La sua prosa è brunita da una patina antica che evoca la metà dell’ottocento, ed esplora questo momento di passaggio della storia statunitense con una straordinaria sensibilità. Il libro si apre con un uomo, George Walker, che vaga nella sua vasta proprietà in cerca di una via di fuga. Nordista trapiantato nello stato del sud da bambino, George non ha mai avuto alcuna simpatia per la causa sudista. Ma la fine della guerra civile non lo rallegra affatto. Ha appena ricevuto la notizia che il suo unico figlio, arruolatosi nella Confederazione, è stato ucciso nelle ultime settimane di battaglia. Proprio quando George si rende conto di essersi perso nella sua stessa proprietà, s’imbatte in due neri, Landry e Prentiss, fratelli nati e cresciuti nella fattoria di un vicino. Lontano dalla città, l’incontro è teso e nessuna delle due parti sa cosa aspettarsi dall’altra. In questa strana collisione tra lutto ed emancipazione, germoglia un’improbabile amicizia. George cerca disperatamente di distrarsi dalla morte del suo unico figlio. Dopo anni di tranquillo isolamento, desidera un progetto, qualcosa da lasciare come prova della sua esistenza. Così decide di coltivare arachidi, e assume i due liberti. Da parte loro, i fratelli non hanno intenzione di rimanere in un luogo macchiato dalla schiavitù. George immagina di creare, con la forza del suo idealismo, un’oasi basata sul principio di un salario di sussistenza offerto senza tener conto del colore della pelle. La cosa più impressionante del romanzo di Harris è il modo in cui si dedica alle vite di persone particolari catturando al contempo le tensioni tettoniche in gioco nel sud americano. Il finale è allo stesso tempo soddisfacente e terrificante. Ron Charles, The Washington Post

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Questo articolo è uscito sul numero 1483 di Internazionale, a pagina 90. Compra questo numero | Abbonati