Colpito da una vertigine esistenziale mentre è in viaggio verso un seminario di team building, Martin (Rasmus Bjerg) decide di lasciare tutto per stabilirsi nell’immensità delle foreste norvegesi alla ricerca di una vita più semplice. Ma l’incontro casuale con uno spacciatore ferito, Musa (Zaki Youssef), innesca un turbolento inseguimento tra i due uomini, la polizia e dei gangster. Una qualità innegabiledel secondo lungometraggio del regista danese Thomas Daneskov è il suo equilibrio quasi scientifico nel sovrapporre generi diversi, dal film di fuga alla commedia (quella alla fratelli Coen, in cui l’ironia non è mai compiaciuta ma mirata a creare un’empatia con i personaggi). Wild men non sottolinea mai la sua irriverenza o la sua bizzarria, preferendo suscitare la risata in modo indiretto, obliquo. Allo stesso modo il film, guardando al declino della nostra società, evita il sovraccarico di domande esistenziali o il candore del ritorno alla natura, mostrando come in realtà tutto sia riconducibile a logiche consumistiche. La sua lezione più preziosa arriva dal tentativo di ridefinire i tratti di una nuova mascolinità che mostra l’evidente difficoltà degli uomini sia nel comunicare con il prossimo sia nell’insistere sugli stereotipi di genere. Ludovic Béot, Les Inrockuptibles

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Questo articolo è uscito sul numero 1483 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati