Perumal Murugan (Vivek Singh, The New​ York Times/Contrasto)

In che modo un trauma può rifondare la personalità di uno scrittore? Comincerà a raccontare storie diverse? Sarà un po’ meno libero, un po’ meno coraggioso, o tornerà più forte che mai? Perumal Murugan nel 2015 ha dovuto affrontare violente proteste dai difensori del sistema delle caste indiano. Tutto ciò che scrive è ora sotto esame, soprattutto Punacci, storia di una capra nera, la prima opera di narrativa di questo scrittore tamil dopo la fine del suo autoesilio. Non sorprende, dato il contesto, che Punacci offra uno sguardo ironico sulla società, sul potere e sull’abuso, sulla schiavitù e sull’avidità, sulla sorveglianza e sulla silenziosa acquiescenza dei deboli alla propria sottomissione. È prima di tutto una favola, e in questa scelta si avverte il sentore di una provocazione. Il sarcasmo di Murugan rivela la robustezza del suo spirito. La capra Punacci è strana: gracile, aveva circa un giorno quando è stata regalata a un vecchio contadino da un misterioso sconosciuto, ma è sopravvissuta nonostante le circostanze. Gli attacchi di animali rapaci, la mancanza di cibo, la vendita dei suoi figli: nulla soffoca la sua vitalità, che però a poco a poco si affievolisce. È nera come la notte, il che preoccupa la coppia di anziani che ora si prende cura di lei: il regime ha quasi eliminato le capre nere, considerate criminali. Come tutti i romanzi di Murugan, Punacci è ricco di dettagli. Il paesaggio rurale semiarido in cui è ambientato pulsa di vita. Il romanzo ci porta nella spoglia capanna di paglia della coppia di anziani, con una capra incinta e un’altra che ha appena dato alla luce due capretti. Vediamo la determinazione dell’anziana donna a far vivere la piccola Punacci, così come il rifiuto della capra madre di adottarla come propria. La tensione narrativa raggiunge il suo apice quando Punacci è prelevata del regime, che intende installarle un chip d’identità nell’orecchio. Il chip la inserisce nel sistema e d’ora in poi monitorerà ogni evento della sua vita, dalla miracolosa cucciolata di sette piccoli che il suo fragile corpo partorisce alla loro vendita e alla sua morte. È un regime di sorveglianza che favorisce i corrotti, i ricchi e i potenti. Ma anche i poveri, a volte, hanno modo di sconfiggere il sistema.
Elizabeth Kuruvilla, The Hindu

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Questo articolo è uscito sul numero 1488 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati