Hassan Blasim (Michael Ca​mpanella, Guardian/Eyevine)

Hassan Blasim torna con quattordici racconti intrisi di lirismo profano, di simbolismo distorto e di romanticismo macabro. Le sue migliori qualità sono tutte presenti nelle pagine iniziali: la sorniona autoreferenzialità della cornice (una gara letteraria ospitata da una stazione radiofonica di Baghdad), la commedia nera, i colpi di scena inaspettati e le immagini nitide e inquietanti. Il Cristo iracheno contiene storie di guerra e di migrazione, ma rispetto ai precedenti racconti di Blasim questi sono più astratti, più difficili, più strani. L’elaborazione del trauma, o la sua impossibilità, è il tema centrale della raccolta. Le storie non solo sono dedicate ai morti, ma sono anche narrate dai morti, riguardano la morte e gli echi della morte nelle anime dei vivi. Non è un tema esclusivamente iracheno. Le foreste europee – che fanno pensare ai fratelli Grimm – incombono tanto quanto le strade distrutte di Baghdad. Il racconto che dà il titolo al libro, cupamente ironico, parla di un soldato cristiano dotato di straordinari poteri di predizione, che si sacrifica perché sua madre possa vivere. I personaggi scivolano nella perversione criminale senza volerlo, quasi per caso. L’opera di Blasim è così insolita che è difficile da collocare. Deve qualcosa alle Mille e una notte e all’antica tradizione fantastica della scrittura araba, ora ravvivata dai dolori della modernità araba, in particolare nell’Iraq post-invasione. Ma Il Cristo iracheno sembra appartenere anche alla letteratura latinoamericana, alle prese con culture in conflitto, violenza politica e religione prepotente. La raccolta ricorda Roberto Bolaño nella sua esuberanza viscerale, ma anche Borges nella sua complessità gnomica. Entrambi gli scrittori condividono con Blasim la fascinazione per i testi. Molti personaggi sono lettori ossessivi e le storie sono ricche di teorie sulla scrittura, dal crudo epigramma di Saddam Hussein (“La penna può sparare proiettili letali quanto il fucile”) a uno studente che si chiede perché la letteratura contemporanea del suo paese non contenga il genere fantasy. Blasim è un maestro della metafora che sta sviluppando una sua filosofia oscura, in cui la vita quotidiana non è punteggiata dalla guerra, ma la anticipa e la riecheggia costantemente, come se la guerra fosse il modello di base della realtà. Robin Yassin-Kassab, The Guardian

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Questo articolo è uscito sul numero 1490 di Internazionale, a pagina 96. Compra questo numero | Abbonati