Nel nuovo album di Mega Bog c’è qualcosa che suona sbagliato ma non è necessariamente un male. End of everything è un’ode fragile e carica di sintetizzatori sul lutto e sulla resa, che sembra provenire direttamente dagli anni ottanta. Con rabbia contenuta, la cantautrice di Los Angeles, il cui vero nome è Erin Elizabeth Birgy, riflette su se stessa, sul clima e sul nostro futuro tra sintetizzatori e, ogni tanto, qualche sferzata di chitarra. End of everything è pieno di pezzi dance che sotto la superficie brillante covano dei testi oscuri e drammatici. L’intenzione dell’autrice era di scrivere in modo impulsivo, mettendo da parte però il suo strumento d’elezione, la chitarra, per i sintetizzatori e il piano. Il risultato è variegato: una combinazione di disco, musica da film, post-punk, new wave che riecheggia i Bronski Beat e The Weather Station. La produzione di End of everything è raffinata e contrappone la sua perfezione ai difetti della prosa, con la collaborazione di James Kriv­chenia, batterista dei Big Thief. Questo è un album valido e compatto, in grado di parlare a tutte le generazioni.
Ben Jardine, Under The Radar

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Questo articolo è uscito sul numero 1513 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati