Fernando Aramburu (Alberto Cristofari, Contrasto)

Figli della favola è lontano dalla complessità strutturale del precedente Patria, dalla sua molteplicità di voci, dalla sua ineludibile questione morale. È, al confronto, un libro minore, che si occupa di chi è indottrinato dalla favola romantico-essenzialista dell’ideologia basca. Ma è anche un’opera felicemente riuscita nel registro adottato da Aramburu: quello della commedia farsesca o, per essere più precisi, del genere scherzoso della satira menippea. Il trattamento burlesco e perfino grottesco dei due personaggi principali, Joseba
e Asier, ventenni che si uniscono all’Eta poco prima che l’organizzazione dichiari un cessate il fuoco definitivo (nell’ottobre 2011), non attenua la serietà con cui il libro allude all’intossicazione ideologica di molti ragazzi. Sorpresi dalla decisione dell’Eta mentre aspettano in una fattoria francese l’ordine di sparare, Asier e Joseba decidono di continuare la lotta per la liberazione del Paese Basco fondando una banda fatta solo da loro due, il cui nome, Gdg – Geurea da garaipena (La vittoria è nostra), una canzone di Negu Gorriak – sarà motivo di ironia (“Gruppo di coglioni”) da parte di Txalupa, vero terrorista dell’Eta che dà loro un precario rifugio a Tolosa, in Francia. L’oziosa quotidianità di questa coppia comica si esprime in episodi che ricordano motivi picareschi (la fame, la ricerca di un padrone, il viaggio e, almeno per Joseba, il cammino verso la maturità), che hanno un’innegabile forza comica. Come nella satira menippea, anche qui il pensiero unico e monolitico è sbeffeggiato a favore di una visione delle cose flessibile e aperta al dialogo, e gli eroi sono presentati come personaggi risibili gettati in avventure banali, costellate da buffonate e bisogni elementari (cibo, scatologia, sesso). Il commando che formano si addestra per le future azioni, ma in assenza di granate getta sassi nel fiume, le esercitazioni di tiro si svolgono con le scope e gli attacchi più audaci consistono in piccoli furti in un supermercato. C’è chi ritiene che gli anni trascorsi dalla fine dell’Eta siano ancora pochi per raccontare la tragedia del terrorismo con le risorse della satira, ma nessuno meglio di Aramburu, dopo Patria, era in grado di farlo. E l’ha fatto molto bene, collegandosi moralmente a quell’indimenticabile romanzo.

Domingo Rodenas, De Moya, El País

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Questo articolo è uscito sul numero 1513 di Internazionale, a pagina 81. Compra questo numero | Abbonati