Sono passati trent’anni dall’assedio di Sarajevo, nato dalla disgregazione dell’ex Jugoslavia in fazioni serbe, croate e musulmane. Il romanzo d’esordio di Priscilla Morris è ambientato in questo conflitto terribile e caotico, e rimane radicato nella disordinata realtà delle strade. Zora è un’insegnante in crisi di mezza età, ma c’è molto di peggio in arrivo per lei. Di notte bande di uomini mascherati barricano le strade con divani ricoperti di filo spinato e al mattino i residenti – siano croati, serbi o musulmani – buttano giù le barriere che vorrebbero separare le loro comunità. I cecchini appaiono sui tetti. Si preparano quattro anni di bombardamenti e colpi di mortaio dalle colline vicine. Zora ha una figlia e una nipote in Inghilterra e all’inizio del conflitto manda la sua anziana madre e il marito Franjo a raggiungerle. Rimane intrappolata nella città assediata, dove ha una relazione appassionata con il proprietario di una libreria islamica, Mirsad. Organizzata su quattro stagioni di un anno, Le farfalle di Sarajevo suona autentico come un’esperienza raccontata in diretta. Morris è per metà jugoslava e il libro è liberamente ispirato alle vicende della sua famiglia. Il titolo si riferisce alle pagine bruciate dei libri che svolazzano nell’aria: “Frammenti bruciati di poesia e arte che si impigliano nei capelli della gente”, dice Mirsad. Zora è una pittrice e durante l’assedio continua a insegnare, mentre i suoi studenti si riuniscono in stanze gelide. In mezzo all’orrore della città distrutta, con i cadaveri per le strade, Morris sottolinea la resilienza, l’amicizia e la generosità delle persone che circondano Zora. C’è anche una sobria enfasi sul potere dell’arte: i quadri di Zora testimoniano che le guerre vanno e vengono, ma l’arte è immortale.
Phil Baker, The Times

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Questo articolo è uscito sul numero 1535 di Internazionale, a pagina 86. Compra questo numero | Abbonati