Dopo anni di collaborazioni, l’album solista di debutto del musicista britannico Shabaka Hutchings è una suggestiva dichiarazione di moltitudine. Il titolo del disco, Perceive its beauty, acknowledge its grace, può sembrare imperativo, ma diventa rapidamente un invito a esplorare uno spazio interiore espansivo abitato dai vari strumenti e dalle voci dell’album. Nel pezzo Managing my breath, what fear had become l’invito viene esteso attraverso la voce di un narratore, ed è qui che l’album sembra un culmine di voci che brillano e porta l’ascoltatore a contatto con il proprio io. Il lamentoso flauto giapponese e la voce di Moses Sumney in Insecurities sono un rapimento ritmico a spirale. Body to inhabit invece, con quel contrabbasso, è un brano più classicamente jazz e si espande grazie al flauto di Shabaka, che per l’occasione ha abbandonato il sassofono. Al tutto si aggiunge un immenso elenco di collaboratori prestigiosi: Carlos Niño, André 3000, Esperanza Spalding, Floating Points, Laraaji, Brandee Younger, Elucid e Saul Williams. Questo debutto solista nasce da un’immensa e fruttuosa collaborazione. Un incontro tra persone, strumenti, melodie e spazi che offrono la possibilità di ascoltare, riflettere e trasformarsi.
Tommy Pearson, The Skinny

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Questo articolo è uscito sul numero 1559 di Internazionale, a pagina 102. Compra questo numero | Abbonati