Da anni l’Unione europea stanzia milioni di euro per i paesi africani, con l’obiettivo di fermare i disperati decisi a raggiungere l’Europa. I fondi – almeno nei casi di Marocco, Mauritania e Tunisia – sono usati in parte per addestrare agenti e comprare veicoli, imbarcazioni e altri strumenti destinati a intercettare i migranti, arrestarli e trasportarli in deserti e aree remote. Lì sono abbandonati senz’acqua né cibo, esposti ai pericoli di luoghi inospitali e agli abusi delle autorità. La mancanza di trasparenza rende difficile seguire il percorso del denaro, ma un’inchiesta condotta dal País insieme all’organizzazione Lighthouse reports e ad altre testate ha rivelato quello che tutti sapevano: l’Unione europea sa bene che gli alleati africani gestiscono l’immigrazione irregolare con metodi brutali.

Gli accordi hanno suscitato forti critiche perché così l’Unione appalta, senza la minima garanzia, una politica essenziale – quella sulle migrazioni – che avrà effetti enormi alle elezioni europee del 9 giugno. La Commissione europea sostiene che i contratti con i paesi africani hanno clausole sul rispetto dei diritti umani. Allora perché non sono applicate? L’Unione forse non può intervenire nelle scelte politiche di stati sovrani, ma potrebbe influenzare il modo in cui è speso il denaro pubblico. L’immigrazione irregolare è una questione complessa, non c’è una formula magica per risolverla ma può essere gestita in modo più umano ed efficiente. Questa è anche la ricetta migliore per combattere l’estrema destra, che ha ottenuto tanti vantaggi attaccando gli immigrati. Di recente, tra l’altro, quindici paesi hanno proposto di inasprire ulteriormente la politica comunitaria sull’immigrazione. Questa eventualità dovrebbe allarmare l’Unione e ricordarle che, oltre agli interessi economici, avrebbe anche il compito di difendere i valori europei. ◆ as

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Questo articolo è uscito sul numero 1564 di Internazionale, a pagina 19. Compra questo numero | Abbonati