L’11 marzo l’ex presidente filippino Rodrigo Duterte è stato arrestato all’aeroporto di Manila su mandato della Corte penale internazionale. Da mesi si diceva che la Cpi stesse per muoversi contro di lui e che si sarebbe rassegnato al suo destino. Duterte è accusato di crimini contro l’umanità commessi durante la sua “guerra alla droga”, una campagna di polizia che ha preso di mira i tossicodipendenti e i piccoli spacciatori mentre era presidente del paese, dal 2016 al 2022 e anche prima, quand’era stato sindaco di Davao. Le vittime della campagna sarebbero trentamila. La corte aveva cominciato a indagare nel 2017 e nel 2019 Duterte aveva ritirato le Filippine dalla Cpi nel tentativo di bloccarla. L’attuale presidente, Ferdinand Marcos Jr., finora si era rifiutato di collaborare con la corte dell’Aja, ma ora che i rapporti tra le famiglie Marcos e Duterte sono ai minimi termini le autorità di Manila hanno dato l’ok per l’arresto. La popolazione sembra favorevole all’indagine su Duterte, quindi collaborare con la Cpi potrebbe aiutare Marcos Jr. in vista delle elezioni di medio termine che si terranno a maggio, scrive Asia Times, dopo che un sondaggio di febbraio ha rilevato che il 43 per cento dei filippini è insoddisfatto del suo operato. Secondo molti analisti, scrive Nikkei Asia, le elezioni saranno una guerra per procura tra le due dinastie politiche e testeranno la loro influenza. La vicepresidente Sara Duterte, figlia di Rodrigo, rischia di essere messa in stato d’accusa dopo che la camera bassa ha votato a favore del suo impeachment. L’arresto del padre potrebbe nuocerle perché se accenderà tra i filippini la voglia di giustizia, i senatori non ci penseranno due volte a incriminarla. ◆
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Questo articolo è uscito sul numero 1605 di Internazionale, a pagina 33. Compra questo numero | Abbonati