Da adolescente a Huddersfield, nel nord del Regno Unito, Aya Sinclair trovò una scintilla vitale nel rock cristiano. Si unì a una chiesa pentecostale. Pregava e cantava. Poi arrivò un altro tipo di rivelazione: un’insofferenza verso il destino già scritto: università, matrimonio, figli, quartiere tranquillo. Capì di essere queer. Quando lo confidò ai leader della chiesa, le dissero: o resti dentro l’armadio o te ne vai. Se ne andò. A Manchester scoprì la club culture, la musica elettronica, le droghe. Cominciò la transizione e trovò un’estasi ben lontana dallo spirito santo. Nel 2021 ha pubblicato il suo primo album, im hole: un collage di confessioni distorte e ritmi spezzati, figlio di una mente alterata dalla ketamina. Con il nuovo disco Hexed!, scritto nei primi mesi di sobrietà a Londra, Aya affronta i fantasmi del passato: notti insonni, attacchi di panico e una voglia d’intensità che divora. Il suono pulsa, brucia, esplode e si contorce attorno alla sua voce più rabbiosa. Se in im hole era una narratrice ambigua e distante, qui tutto è reale. E fa male. Brani come The names of faggot chav boys e Navel gazer sono tempeste sonore: rumori acidi, richiami punk, house distorta e crisi messe a nudo. Nel brano d’apertura I am the pipe I hit myself with Aya dichiara: “Mi davano la caccia come una strega mentre scoprivo la mia essenza”, richiamando il libro Calibano e la strega di Silvia Federici, che esplora la caccia alle presunte streghe come fondamento del patriarcato capitalista. Per Aya la transizione è un atto magico e rivoluzionario. Il corpo cambia, la voce si modifica, la società si deforma. In Hexed! la plasticità del suono e quella della carne e dell’esperienza s’intrecciano in un’unica frusta: un’arma, ma anche un’ancora di salvezza.
Sasha Geffen, Pitchfork
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Questo articolo è uscito sul numero 1608 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati