Gli Arcade Fire vanno avanti. Più di due anni dopo le accuse di molestie sessuali contro il cantante Win Butler, che avevano fatto pensare che la loro avventura fosse arrivata al capolinea, la band torna con il suo settimo album, Pink elephant. Tutto come prima? Non proprio. Il titolo allude al tentativo fallito di sopprimere un pensiero, e descrive l’impossibilità di ascoltare i brani senza ripensare alla controversia. Butler e Régine Chassagne, sua moglie e compagna di band, hanno registrato a New Orleans componendo canzoni su amore, perdita e resilienza. In Ride or die, uno dei brani più intimi mai pubblicati dal gruppo, Butler canta: “Posso portarti ovunque / Non importa dove andiamo”. Un modo per dire che potrebbero vivere anche senza la musica. Ma ovviamente non è così. Il disco porta il marchio del nuovo coproduttore Daniel Lanois, già al fianco di Brian Eno e U2, e si apre con i synth psichedelici di Open your heart or die trying. Nel brano Pink elephant Butler canta la tristezza del mutamento: “Il modo in cui tutto è cambiato mi fa piangere”. L’album si chiude con Stuck in my head, un inno in vero stile Arcade Fire. Quando l’hanno suonata dal vivo, per un attimo al pubblico è tornata in mente Rebellion (Lies), dal primo album della band. Se Pink elephant non affronta direttamente le accuse, mostra Butler e Chassagne intenti a resistere e a trovare conforto nella loro musica e nel loro legame.
T’Cha Dunlevy, Montreal Gazette

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Questo articolo è uscito sul numero 1613 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati