Il pop invecchia in fretta. Brani che fino a pochi anni fa sembravano rivoluzionari oggi sono la colonna sonora dei centri commerciali. Sette anni fa il mixtape Pop 2 di Charli XCX veniva celebrato per la sua visione futurista, così come l’estetica dell’etichetta Pc Music o, più di recente, Motomami di Rosalía. Oggi l’attenzione critica si sposta su nuove figure capaci di ridefinire la musica leggera. Tra queste c’è Lucrecia Dalt. Ex ingegnera geotecnica, da vent’anni lavora su suoni sperimentali. Dopo un esordio in sordina, il successo è arrivato con ¡Ay! (2022), che ha aperto la strada all’album attuale, A danger to ourselves: più pop, ma ancora intriso di atmosfere cinematografiche, elettronica e tradizione latinoamericana. Il singolo Cosa rara, scritto e registrato con l’ex leader dei Japan David Sylvian, sembra uscito da un film d’autore, mentre brani come No death no danger e Caes evocano tinte horror. Dalt non insegue il successo a tutti i costi ma ammette di desiderare un ruolo di primo piano nel pop latino. La collaborazione con Sylvian rafforza questa svolta, pur mantenendo la sua cifra visionaria: testi che parlano d’amore, morte e metamorfosi, tra ballate e ritmi ipnotici. Il risultato è un album che oscilla tra sperimentazione e immediatezza, con melodie capaci di far ballare o di farci nascondere sotto il letto.
Igor Bannikov, Clash

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Questo articolo è uscito sul numero 1631 di Internazionale, a pagina 94. Compra questo numero | Abbonati