Gli anni sessanta furono un periodo maledetto per le tartarughe messicane. In quel periodo Graciela Tiburcio non era ancora nata. Ma in seguito, negli anni novanta, quando frequentava il dottorato da biologa in Brasile, le capitava di eseguire delle autopsie su questi animali e notava che la causa più frequente della loro morte era “l’ostruzione intestinale causata da sacchetti, tappi e altri oggetti di plastica”. Ha visto con i suoi occhi la fine che faceva gran parte dell’immondizia gettata in mare.

Negli anni novanta in Messico è stato imposto il divieto di mangiare carne di tartaruga, ma secondo Graciela Tiburcio, nata a Veracruz nel 1973, “non era il consumo locale a mettere in pericolo le tartarughe, ma l’avidità degli esseri umani”, cioè di quelle persone che usavano la pelle degli animali per creare oggetti di lusso.

Ancora prima delle tartarughe, a finire in pericolo era stata un’altra specie, il coccodrillo, che alla fine degli anni cinquanta arrivò quasi all’estinzione per l’eccessivo commercio delle sue pelli. Tutti volevano almeno un paio di scarpe, una borsa, un portafoglio di qualità, resistente, lucido, esotico (la pelle di questo rettile è ancora tra le più richieste). Per proteggere le varie specie, il governo messicano adottò misure drastiche per impedirne la caccia. Al posto del coccodrillo si cominciò allora a commerciare la tartaruga di mare. È per questo che negli anni sessanta cominciò il massacro e lo sfruttamento massiccio di questa specie. “In dieci anni la popolazione delle tartarughe diminuì in modo vertiginoso. In quel breve periodo una specie che aveva vissuto duecento milioni di anni rischiò improvvisamente l’estinzione”, racconta Tiburcio.

Il Messico finì per esportare il cinquanta per cento di tutta la pelle di tartaruga caretta commercializzata nel mondo. E di questa percentuale la metà proveniva dalla Bassa California del Sud. “Nessuna specie può sopportare una cosa del genere. La tartaruga verde impiega tra i venti e i trent’anni per raggiungere la maturità sessuale. La tartaruga liuto depone le uova ogni quattro”.

La Bassa California del Sud non solo vide diminuire la popolazione di tartarughe, ma perse anche uno dei suoi piatti tradizionali. Nel nordovest del Messico il consumo di tartaruga caretta era una tradizione per le etnie seri di Sonora, e molto probabilmente lo era anche per gli indigeni californio. Per molti anni durante la quaresima si è consumato questo animale come fonte di proteine per sostituire la carne rossa. La sua importanza era tale che in alcune grotte di canyon e pendii che attraversano il paese la tartaruga compare tra gli animali rappresentati nelle pitture rupestri. “In questo territorio la relazione tra uomo e tartaruga dura da millenni”, sottolinea Tiburcio.

Un legame stretto

La zuppa di tartaruga era uno dei piatti principali nella cultura del popolo sudcaliforniano. Con le viscere si faceva la salsiccia e con le ossa si costruivano pettini e aghi per tessere reti. La carne che avanzava diventava fertilizzante per le piante e il guscio era usato come coppa per raccogliere le offerte. “La tartaruga si mangiava solo nei giorni festivi, con un rituale che dimostrava lo stretto legame culturale, economico e spirituale, e l’importanza di questi animali per la sussistenza”, dice Tiburcio. “A Oaxaca si fa ancora la danza della sabbia, che mette in scena la raccolta delle uova; a Veracruz, in passato, il ventaglio e il pettine del costume del jarocho – personaggio tradizionale della cultura della città – si facevano con la tartaruga embricata (ora non più). Quando le popolazioni scompaiono, spariscono anche le tradizioni e l’identità”, sostiene la biologa.

Oggi Graciela Tiburcio è un’esperta di tartarughe, ma il legame che ha creato con questa specie risale ai tempi della fattoria di suo nonno, sulle montagne di Veracruz, nell’est del paese: un paesaggio selvaggio, tra pendii di vegetazione neotropicale alta ed esuberante, senza acqua potabile né luce elettrica.

Questi sono i suoi primi ricordi di “un’infanzia privilegiata, immersa nella natura”, come la definisce lei. “Correvamo in mezzo alle mandrie, giocavamo con le pecore e i cavalli e poi facevamo il bagno nel fiume. E quando non c’era più luce giravamo per casa con vasetti pieni di cocuyos (lucciole)”, racconta ricordando quelle notti accompagnate dalla lucina verdognola che emettevano gli insetti, illuminando come una lampada le stanze dove correvano i bimbi. “Casa mia era piena di enciclopedie e di libri sugli animali. Forse è per questo che ho sempre voluto diventare una biologa”, aggiunge. “Anche se era stato proprio mio padre a trasmettermi l’amore per la natura, rimase molto deluso quando mi trasferii a Xalapa per studiare all’università. Mia madre invece era dalla mia parte. Mi diceva sempre che avrei potuto studiare quello che volevo, l’importante era che diventassi indipendente”.

Anche se il padre l’avrebbe voluta ragioniera, Graciela Tiburcio, la maggiore di tre sorelle, con gli incoraggiamenti di sua madre è diventata una delle più grandi esperte di tartarughe di tutto il Messico. Nel 2015 ha ricevuto il Premio al mérito ecológico dal governo per aver dato il buon esempio nel campo della conservazione. Le hanno assegnato anche riconoscimenti internazionali per i suoi successi nella salvaguardia del pianeta e dell’ecosistema e per la sua dedizione agli animali. La passione di Graciela per le testuggini è cominciata nella spiaggia solitaria di Lechuguillas, uno degli ecosistemi più importanti di Veracruz per la nidificazione delle tartarughe verdi e delle tartarughe di Kemp, un luogo dove suo cugino, che lavorava nell’acquario della città, la portò per mettere in salvo uno di questi esemplari: “Da allora rimasi affascinata”.

Per tre anni ha lavorato a una tesi sui pipistrelli, ma ha continuato a visitare regolarmente quel rifugio per tartarughe. “L’associazione Campamento tortuguero Lechuguillas, impegnata nella conservazione di questa specie, è stata inaugurata nel 1994, lo stesso anno in cui l’ho scoperta io. Così mi sono innamorata delle tartarughe e ho cominciato a studiarle”.

Ambientalisti interessati

La sua passione l’ha portata fino alla Bassa California del Sud, dove si è trasferita da tanto tempo. “Vivo qui da ventisei anni e non immagino di stare in nessun altro posto, anche se all’inizio è stato difficile adattarsi”, commenta. Veracruz è verde, è acqua e giungla. La Bassa California del Sud è deserto, “con una bellissima vegetazione xerofila (che ha bisogno di poca acqua) , ma è pur sempre un deserto giallo e marrone”, dice a proposito dei colori che osserva di più, mettendoli a confronto con il blu intenso del Pacifico. È “un contrasto meraviglioso, questo paesaggio è di una bellezza indescrivibile”.

Tiburcio racconta anche che la Bassa California del Sud è un territorio votato alla conservazione: “È lo stato con il maggior numero di associazioni ambientaliste e aree naturali protette di tutto il Messico”. È qui che è nata la prima area naturale protetta del mondo per la balena grigia.

La tartaruga liuto si nutre quasi esclusivamente di meduse. Quale altro animale mangerebbe un organismo velenoso?

A differenza di quello che succede nelle altre regioni del paese, gli albergatori della Bassa California del Sud apprezzano la natura. “Capiscono l’importanza di avere le tartarughe davanti alle loro strutture e il valore aggiunto che rappresentano per i loro clienti, un aspetto che è parte dell’offerta turistica”, evidenzia la biologa. A Los Cabos il settore privato è direttamente collegato ai programmi di conservazione, come quelli che proteggono proprio le tartarughe che studia lei: “Questi animali sono indicatori di ecosistemi: se ci sono significa che l’ecosistema sta bene o che si può ancora salvare”, assicura.

In Messico nidificano sei dei sette tipi di tartarughe di mare. Solo sulle coste della Bassa California del Sud ne arrivano cinque tipi. I programmi di conservazione e le rivendicazioni degli ambientalisti hanno portato al recupero di alcune specie, come la tartaruga verde, la prima osservata dalla Tiburcio, quella che ha segnato il suo percorso professionale. “Personalità come i biologi René Márquez e Mauricio Garduño, i miei maestri, mi hanno spinto a interessarmi a questo tema. Fecero partire programmi di conservazione che in seguito sono stati portati avanti e ampliati”, racconta Tiburcio.

“Nel Pacifico e in tutto il mondo, grazie ai progetti di conservazione è stato possibile recuperare la tartaruga bastarda olivacea, e nello stato del Tamaulipas la tartaruga di Kemp ha ampliato la sua area da Veracruz al Texas”, dice mentre sottolinea anche che questo non le mette al riparo dal rischio di estinzione. “Tutte sono minacciate, ma alcune stanno meglio e altre peggio, come la tartaruga embricata o la tartaruga liuto”. L’ultima volta che la biologa ne ha vista una è stato nel 2021, insieme a sua figlia: “Una delle esperienze più belle della mia vita. È la più grande del mondo”.

Un turismo possibile

La tartaruga liuto non è solo la più grande di tutte, ma è anche la specie che nei suoi lunghi viaggi oceanici tocca le profondità maggiori. Ha un ciclo riproduttivo più complesso delle altre. Mentre la tartaruga bastarda olivacea depone le uova ogni anno e la tartaruga verde ogni due anni, “la tartaruga liuto si riproduce ogni quattro, per questo è difficile osservarla”, spiega l’esperta, svelando che “molte muoiono strozzate dalle reti, il rischio principale per tutte le tartarughe”.

Uno studio realizzato tra il 1995 e il 2003 certificò questo fenomeno, stimando il numero di tartarughe ritrovate spiaggiate o nelle discariche: i ricercatori contarono un totale di 1.945 tartarughe marine morte nella Bahía de Magdalena, nella costa occidentale della Bassa California del Sud.

Il lavoro di Graciela Tiburcio si distingue perché mette insieme il carattere biologico della specie con il suo valore culturale. “Sono convinta del fatto che la salvaguardia debba coinvolgere la società civile. È l’unico modo per garantire la sostenibilità a lungo termine. Un progetto di conservazione dev’essere fatto dalla comunità e per la comunità”.

Biografia

1973 Nasce a Veracruz, in Messico.

1992 S’iscrive a biologia all’università di Xalapa.

1994 Entra in contatto per la prima volta con delle tartarughe nella spiaggia di Lechuguillas e decide di studiarle.◆ 1996 Si trasferisce nella Bassa California del Sud, dove collabora con istituzioni e turismo per proteggere le tartarughe.◆ 2015 Riceve dal governo messicano il Premio al merito ecologico per aver dato il buon esempio nel campo della conservazione.


Tiburcio insiste su questa cosa perché sa bene che se un ricercatore rimane senza fondi per la ricerca il suo programma va a rotoli. E i governi cambiano ogni tre anni. “Sappiamo quanto ai politici piaccia disfarsi delle iniziative dei loro predecessori, giuste o sbagliate che siano. Ma i programmi di salvaguardia delle tartarughe devono avere uno sviluppo a lungo termine. Servono vent’anni per vedere i risultati”, precisa l’esperta, che ha lavorato a stretto contatto con il governo messicano, coordinando azioni e guidando progetti sulla fauna selvatica, e al momento è consulente delle istituzioni locali.

È per questo che Graciela Tiburcio s’impegna a creare una rete di collaborazioni con tutti i settori che rappresentano il turismo nella Bassa California del Sud: “Non sarebbe possibile salvare le tartarughe se venisse a mancare anche solo uno di questi sostenitori”. Passa molto tempo a parlare con albergatori, ristoratori e pescatori, spiegandogli perché le tartarughe sono importanti. “Sono diventate un’attrazione e questo è un bene. Il turismo le protegge. Davanti agli hotel ormai si rubano poche tartarughe, anche se qualcuno continua a gettare rifiuti in mare, ad avvicinarsi troppo, o a disturbarle mentre covano”.

Tuttavia, il suo lavoro è la prova che attraverso progetti integrati il turismo sosteni­bile è davvero possibile: “Le tartarughe sono una grande fonte di guadagno. Bisogna saper vendere la conservazione, noi biologi di certo non sappiamo farlo!”, dice.

Nella maggior parte delle zone costiere del Messico mancano politiche integrate per la protezione degli ecosistemi, ma i programmi di conservazione, aiutati dalle attività turistiche in alcune località, stanno salvando delle specie. “Molte aziende turistiche nella Bassa California del Sud cercano di proteggere l’ambiente”, dice Tiburcio. Sanno che devono alla natura la loro fortuna. “Eppure tutto dipende dal modo in cui si comportano le catene alberghiere e ce ne sono alcune che non si comportano per niente bene”.

Le tartarughe sono creature pelagiche, cioè che vivono in mare aperto. Abitano nei fondali marini e soffrono molto l’inquinamento, come dimostravano i risultati delle autopsie di Tiburcio. Un’altra minaccia, spiega la biologa, è la perdita del loro habitat naturale. “L’urbanizzazione della costa è terribile, non ha limiti. Quando scompare una specie, si perde anche un anello importante dell’ecosistema. La tartaruga liuto, per esempio, si nutre quasi esclusivamente di meduse. Quale altro animale mangerebbe un organismo velenoso? In assenza del loro predatore naturale, le meduse potrebbero mangiare più pesci e mandare al collasso la pesca o il turismo, e le spiagge diventerebbero piene di meduse”.

A guardia del nido

Graciela Tiburcio non pensa solo alle conseguenze dell’estinzione di una specie, o a come la loro scomparsa influisca anche su intere catene dell’ecosistema, ma la scienziata s’interessa anche alla conoscenza che si perderebbe per sempre. E confessa: “In fondo delle tartarughe sappiamo molto poco. Passano solo l’1 per cento del loro tempo sulla terraferma”. Anche se i satelliti hanno permesso di seguire i loro movimenti in mare negli ultimi anni, spiega, “non sappiamo cosa fanno nell’oceano”.

Graciela Tiburcio le osserva da quasi vent’anni e si diverte ancora a scoprire cose nuove su questi animali. “I momenti che preferisco sono le notti in cui usciamo per proteggere i nidi. Nell’oscurità assoluta, senza luce, se non quella delle stelle, sentirle respirare è incredibile. Le tartarughe prendono aria per spingere e deporre le uova. Si sente anche il suono che producono quando muovono la sabbia”.

Sembra quasi che raccontare di queste notti sotto il cielo stellato della Bassa California del Sud la riporti alla sua infanzia, alla fattoria del nonno a Veracruz, e la faccia tornare quella bambina che attraversava di corsa la casa di famiglia, illuminando i suoi passi con una lanterna piena di lucciole. ◆ cp

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Questo articolo è uscito sul numero 1477 di Internazionale, a pagina 78. Compra questo numero | Abbonati