Palma è praticamente deserta. Dal 24 marzo, il giorno in cui la città del nord del Mozambico è stata attaccata dai miliziani di Al Shabab, quasi tutti gli abitanti hanno lasciato la città. Le forze di difesa mozambicane (Fds) hanno lanciato un’operazione per dare la “caccia ai terroristi” e riprendere il controllo dell’area (il 5 aprile hanno annunciato di aver riconquistato la città). Dall’alto, Palma sembra paralizzata. Le Fds hanno invitato alcuni giornalisti a partecipare a un volo di ricognizione. Il 3 aprile siamo riusciti a imbarcarci e abbiamo potuto distinguere un’auto ancora in fiamme, una colonna di camion fermi da giorni e veicoli ribaltati in diversi punti. È stato invece impossibile distinguere delle persone.
Le voci dei testimoni
Le storie drammatiche dei sopravvissuti si contano a centinaia. All’aeroporto di Pemba, dove abbiamo preso l’aereo per sorvolare Palma, c’erano due soldati feriti, abbandonati all’ingresso in attesa di un’ambulanza. Vicino a loro, una ragazza su una sedia a rotelle teneva un neonato in braccio. “Quando sono cominciati gli attacchi un’attivista l’ha vista fuggire, incinta, e con i colleghi ha deciso di portarla con sé. Dopo aver percorso quaranta chilometri a piedi nella foresta, è nato il bambino”, racconta una ragazza che l’ha aiutata a partorire. Quando hanno raggiunto la riva del fiume Rovuma, si sono accorti che il telefono prendeva e hanno chiamato i soccorsi. I sopravvissuti all’attacco parlano di familiari e conoscenti uccisi dai terroristi. Le autorità non hanno ancora dato un bilancio delle vittime e dei danni alle infrastrutture. “Hanno attaccato alle tre del pomeriggio, quando ero in servizio”, racconta Laurinda Simão Pedro, che faceva l’infermiera a Palma. “Sono uscita solo con quello che avevo addosso e ho dormito nella foresta. Una mia collega invece è stata catturata. Ci hanno detto che è stata uccisa”. ◆ _ as_
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Questo articolo è uscito sul numero 1404 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati