Un consiglio di Oprah Winfrey è sufficiente a lanciare qualsiasi libro nelle classifiche di vendita, ma non spiega perché un’opera del 1999 del pensiero femminista nero sia diventata di recente il manuale emotivo per cuori spezzati. Il libro è Tutto sull’amore. Nuove visioni (Il Saggiatore 2022), di bell hooks, e offre definizioni molto utili di questo sentimento, spiega Karin Dreijer. Secondo la cantante e produttrice svedese l’amore può essere una forza politica: “È un’azione, è un verbo”. Ma amarsi, aggiunge, “richiede tempo. Ed è difficile trovare il tempo per avere buone relazioni nel nostro sistema capitalistico”.

Parliamo d’amore perché Radical romantics, il nuovo album di Dreijer, in arte Fever Ray, parla di questo, e perché all’artista piace documentarsi prima di affrontare un nuovo argomento. Anche se il synthpop sperimentale del disco non è esattamente una raccolta di canzoni romantiche adatte alle radio, questi brani nascono direttamente dal cuore.

Siamo in collegamento video e sullo schermo Dreijer appare pallida e immobile. Sfoggia capelli color platino e una felpa con il cappuccio con la scritta PSYCHIC. Fa lunghe pause per trovare le parole giuste. “Per amare devi scoprire te stessa e accettare i tuoi bisogni, il che può essere molto difficile. Da questo deriva una sorta di tristezza, che credo sia più presente in questo album. Ma è una tristezza molto pacifica”.

Ogni nuovo album di Fever Ray è un evento raro. Dopo aver sciolto The Knife, il due elettro-pop impegnato politicamente che aveva formato con il fratello Olof, Karin Dreijer ha debuttato da solista nel 2009, con un disco che esplorava le frustrazioni della maternità attraverso l’uso di bordoni glaciali e testi bizzarri sulla cura delle piante e i lavelli della cucina. Il lavoro successivo ha richiesto otto anni: nel 2017 Plunge è stato l’annuncio dell’epifania queer di Dreijer (che s’identifica con i pronomi neutri inglesi they/them) con brani dance tesi e testi espliciti.

La pandemia ha fornito all’artista uno spazio mentale diverso per il suo terzo album, Radical romantics: “Mi sono resa conto che in passato non ero paziente. È una cosa che ho avuto il tempo di esercitare negli ultimi anni: rimanere ferma con un sentimento”.

In passato la musica di Dreijer evocava idee politiche socialiste, femministe e queer attraverso l’uso di voci distorte, strane maschere e appelli per “l’aborto gratuito”. Un album che parla di sentimenti potrebbe sembrare un po’ banale al confronto. Eppure c’è qualcosa di deliziosamente anticonformista nel fatto che Fever Ray si dedichi alle canzoni d’amore a 47 anni. Sembra che abbia fatto un passo indietro rispetto alla sua vita vissuta al limite. Questa “pacifica tristezza” deriva dall’aver fatto i conti con l’età. “Sono abbastanza vecchia ormai. Quando scopri cose in questo momento della vita, significa che per un lungo tempo non le hai conosciute”, commenta.

Pensieri sinistri

Anche la musica stavolta si muove più lentamente. Il fratello Olof, che ha prodotto i primi quattro brani, porta il suo inimitabile ventaglio di percussioni e sintetizzatori mescolando gli strumenti e creando grovigli soddisfacenti in pezzi come Shiver, New utensils e Kandy. Tra i talenti reclutati per l’album ci sono il produttore portoghese Nídia, che costruisce un ritmo di batida con voci strozzate in Looking for a ghost, e Trent Reznor e Atticus Ross dei Nine Inch Nails, che sostengono i momenti più oscuri dell’album con rumori industriali. Carbon dioxide è il pezzo forte, una scarica di endorfine sinfoniche partorite dalla mente del compositore britannico Vessel, che si trasforma in una trance da stadio mentre la voce di Dreijer si eleva: “Tengo il mio cuore! Mentre cado!”.

Dreijer sa come scrivere canzoni, perché unisce osservazioni intime e ironiche a pensieri sinistri (“niente è più fatale di un uomo arrabbiato”, cantava in Neverland degli Knife) e idee fuori dal comune (il “secchio di pipì di tigre” di Without you my life would be boring degli Knife). In Radical romantics le sue parole mantengono una scorza dura da rompere, ma tra le righe si legge più vulnerabilità. L’album, per esempio, comincia con delle scuse: “Prima di tutto vorrei dire che mi dispiace”. E ci sono domande delicate, per esempio: “Posso fidarmi di te?”. Le sofferenze amorose prendono vita in Kandy, una canzone lenta e sensuale. Nel video Dreijer interpreta due personaggi: una creatura mostruosa che fa la lap dance per l’altra Karin, un’impiegata dall’aria dolce con una finta pelata.

La terapia è stata una delle esperienze alla base di un disco che si fa molte domande. “Quando cominci ad andare da un terapeuta, il mondo diventa più grande”, dice Dreijer. “Se non sai da dove ti viene l’ansia, questa continuerà a paralizzarti. Ma se ti conosci di più, sarai anche in grado di gestire le tue paure”. Mi permetto di notare che c’è una somiglianza tra la terapia e il kink (le pratiche sessuali non convenzionali che spesso hanno affinità con il bdsm), esplorato dall’artista in Plunge: entrambe le attività spingono a cercare quello che ti smuove nel profondo. Dreijer sorride. “C’è sempre una strada pericolosa da prendere. So che devo dire di no a questa cosa, perché non sarà sana per me nel lungo periodo. Ma può essere sorprendente, lì per lì”.

Non tutto l’album è così pieno di buoni sentimenti: Even it out è una fantasia sulla vendetta, sull’idea di aggredire il ragazzo che bullizza il proprio figlio: “Sappiamo dove vivi. E poi tagliamo, tagliamo, tagliamo, tagliamo!”, canta Dreijer. “Un amico mi ha detto: ‘Non ho mai sentito un brano in cui una persona adulta minaccia un bambino’. È quello che sto facendo? Non me n’ero accorta. Ci si sente frustrati quando non si fa niente per rimediare a queste cose. Il motivo è sempre l’assenza degli adulti, che dovrebbero impedire che certi fatti succedano. Ma questa è arte, è diverso”, commenta.

Protesi e teste calve s’intrecciano con riferimenti a Lynch e Almodóvar

Ruoli tradizionali

Dreijer oggi vive a Stoccolma con la più giovane delle due figlie adolescenti. “Sono più libera. Non devi dargli lo stesso tipo di aiuto quando crescono”, dice a proposito dell’essere genitore. Anche se vive in un paese famoso per le leggi sulla parità di genere, si è sentita soffocata dai ruoli tradizionali. Ironia della sorte, dice, le politiche svedesi in materia di assistenza all’infanzia hanno reso molto facile avere figli, ma le donne sono ricadute comunque nelle trappole dei ruoli tradizionali: l’uguaglianza tra uomini e donne non risolve la questione delle aspettative relative al genere.

“Ora abbiamo questo governo neofascista”, dice Dreijer a proposito della nuova coalizione al potere sostenuta dai Democratici svedesi, un partito d’estrema destra. “Ma allora al potere c’erano i socialdemocratici. C’era l’idea che le donne e gli uomini dovessero avere lo stesso diritto a fare carriera, quindi il congedo parentale era pagato e si poteva condividere. È una bella idea, ma allo stesso tempo ti costringe a farti una domanda difficile: voglio dei figli o no?”.

È l’accettazione indiscussa di queste norme che dà fastidio a Dreijer. Nel suo primo album Fever Ray si lamentava delle costrizioni della maternità, un mondo di “pastiglie per lavastoviglie” e “muri di cemento”; un brano dei primi Knife, Forest families, criticava il fatto di crescere nelle zone periferiche, dove le ragazze “imparano a stare in forma” e a truccarsi.

La prima esperienza di Dreijer nel mondo della musica, negli anni novanta come unica donna del gruppo indie Honey Is Cool, fu deludente. La nascita degli Knife nel 1999 però le permise di sperimentare con il suo stile vocale mentre il duo si nascondeva dietro a delle maschere. Negli anni duemila The Knife attiravano molte persone affascinate dalle loro discoteche indie “polisessuali”. Secondo Peder Mannerfelt, un collaboratore di Fever Ray, nel loro paese gli Knife sono “semidei”.

Dreijer costruisce una barricata intorno alla sua identità di outsider in What they call us, la spigolosa apertura di Radical romantics. Chi sono i “noi” di cui parla? “Sono una persona non binaria. Essere cresciuta come una ragazza e non avere le parole per capire cosa sei è una questione spinosa. E ogni volta che cerchi di liberarti da queste catene vieni punita”. Ma il genere è “solo una piccola parte del cambiamento di forma” che Dreijer sta indagando. I suoi costumi, i personaggi e le mutazioni vocali servono anche per esplorare le emozioni e sfidare la paura.

Dopo il secondo album dei Knife, Olof si trasferì a Berlino per dedicarsi alla techno con lo pseudonimo di Oni Ayhun. Tornato a Stoccolma qualche anno fa, ha cominciato una nuova carriera come assistente sociale, ma di recente gli è tornata la voglia di fare musica.

“Volevi parlare con Olof?”, mi chiede Dreijer, e mi rendo conto che lui è lì accanto: nel loro studio i fratelli hanno costruito una finestra nella parete divisoria, in modo da tenersi d’occhio a vicenda. Olof entra, con occhiali e voce dolce, e rivela che, oltre a fare da produttore in Radical romantics, ha ripreso a comporre musica dance per la prima volta dopo dieci anni.

I Knife “avevano idee molto rigide” su quello che stavano facendo, ricorda Olof. Questo, nei primi album come Deep cuts e Silent shout, significava “confezionare messaggi socialisti e femministi in un formato pop molto colorato”. I loro fan non sempre apprezzavano la politica, ma i testi erano astratti. Il loro più grande successo, il singolo Heartbeats, in definitiva era una canzone d’amore, anche se di proporzioni elettroniche epiche. Nel 2013, con l’uscita di Shaking the habitual, nel quale i sintetizzatori sono abbandonati a favore di suoni industriali, il duo è diventato “molto serioso e distaccato”, dice Olof. Prendeva spunto dagli studi di genere e dalla teoria postcoloniale. Ma “ora sono più interessato a fare canzoni che generino energia”. La musica sperimentale lo ha stufato.

Per Karin la politica rimane fondamentale: “Ci sono molti modi di fare politica nella musica: dove si suona, con chi si lavora, che attrezzature e strumenti si usano”, spiega. Il gruppo che accompagna Fever Ray in tour lo dimostra: è composto quasi interamente da donne e musicisti, ballerini, tecnici e perfino autisti non binari.

Stare fermi

Il ritmo più lento di Radical romantics potrebbe far pensare che un po’ del vigore politico giovanile di Dreijer si sia affievolito. Ma ora per lei c’è una nuova zona grigia da esplorare. Lavorando con il direttore creativo Martin Falck, Dreijer ha aggiunto dei toni più delicati alla surreale iconografia di Fever Ray, dove protesi e teste calve s’intrecciano con i riferimenti cinematografici a David Lynch e Pedro Almodóvar. “L’ultimo album era molto estroverso, stavolta la sfida è stata lavorare con l’immobilità. Non è così divertente”, dice Dreijer, citando la goffa lap dance del video di Kandy.

Il risultato è la consapevolezza che “può essere bello mantenere la calma di fronte a emozioni forti. Anche se il primo istinto è scappare, uccidere o scoparsi qualcuno”, dice ridendo. E conclude: “È bello riuscire a stare fermi nonostante tutti i casini che ci stanno succedendo intorno e tenere duro. Così si sconfigge la paura”. ◆ ff

Biografia

1975 Nasce a Göteborg, in Svezia.
1994 Fonda la band indie Honey Is Cool.
1998 Si trasferisce a Stoccolma.
1999 Insieme al fratello Olof Dreijer fonda il duo The Knife, che pubblica il primo disco due anni dopo.
2009 Debutta come solista con l’album Fever Ray.
2017 Si dichiara persona non binaria.
2019 Registra l’ep Country creatures insieme alla cantante islandese Björk.


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Questo articolo è uscito sul numero 1503 di Internazionale, a pagina 80. Compra questo numero | Abbonati