La recente intrusione di cinque droni nordcoreani nello spazio aereo controllato da Seoul, uno dei quali è riuscito a spingersi fino alla capitale, ha fatto infuriare i sudcoreani, e le richieste di reagire alla provocazione si sono moltiplicate.

Lo stesso giorno un drone di Seoul ha sorvolato il 38º parallelo per fotografare alcuni siti in Corea del Nord. Il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol ha ordinato agli ufficiali di “punire e rispondere” a qualsiasi provocazione senza temere le armi nucleari di Pyongyang.

Il desiderio di reagire quando si è minacciati è comprensibile, ma in questo caso esiste un problema di fondo: le regole d’ingaggio previste dall’accordo di armistizio coreano, firmato nel 1953, non prevedono la rappresaglia, la vendetta o la punizione per azioni di autodifesa considerate legittime.

Significa che se la Corea del Sud rispondesse alle violazioni dell’armistizio commesse dalla Corea del Nord, rischierebbe a sua volta di violare gli accordi. I sudcoreani hanno il diritto di scegliere questa via, ma perderebbero la superiorità morale che gli assicura il sostegno della comunità internazionale.

Abbassare la tensione

Secondo la definizione della Nato, le regole d’ingaggio sono direttive rivolte agli eserciti e ai singoli soldati che descrivono circostanze, condizioni, grado e modalità in cui è permesso l’uso della forza, stabilendo cosa possono o non possono fare i militari che combattono in una guerra.

La guerra di Corea non è mai finita ufficialmente e l’armistizio che ha fermato i combattimenti è ancora in vigore. In questa circostanza, a sud della linea di demarcazione militare sono in vigore le cosiddette regole d’ingaggio dell’armistizio (Aroe). Se il conflitto riprendesse, invece, subentrerebbero le regole d’ingaggio per il tempo di guerra (Wroe). Il documento Aroe non è complesso ma spesso è frainteso per mancanza di preparazione e perché i comandanti troppo anziani non capiscono la sua importanza. Dà abbastanza flessibilità da garantire la sicurezza dei soldati e permette di portare a termine una missione, impedendo però l’intensificarsi del conflitto.

La parte più importante del testo è quella che disciplina l’uso della forza. L’Aroe considera l’intenzionalità, la necessità e la proporzionalità. Se un nemico armato si avvicina, compie un atto ostile. Ma solo se punta l’arma è ostile anche l’intenzione. A quel punto spetta al soldato minacciato decidere se è necessario colpire il nemico prima che spari lui.

Da sapere
La tensione cresce
Numero annuale di lanci missilistici della Corea del Nord (Fonti: ministeri della difesa sudcoreano e giapponese/Bbc)

Di per sé le regole sono semplici, ma decidere come applicarle è soggettivo, e quindi complica le cose. Per questo l’Aroe ribadisce il diritto dei combattenti all’autodifesa, purché sia proporzionata: se il nemico spara con una pistola o un fucile, è legittimo rispondere usando un fucile o al massimo con una mitragliatrice, non lanciando una bomba. La proporzionalità garantisce che la situazione non vada fuori controllo.

Autodifesa e vendetta

L’Aroe è amministrato dal comando delle Nazioni Unite in Corea (Unc), e un equivoco molto diffuso è che l’organizzazione limiti la sovranità nazionale, impedendo all’esercito di Seoul di usare la forza contro le provocazioni nordcoreane. In realtà il regolamento garantisce il diritto all’autodifesa, ma vieta le rappresaglie e le azioni che potrebbero provocare lo scoppio di un conflitto.

Il malinteso è dovuto anche alla condotta di alcuni comandanti, che hanno usato l’Aroe come scusa per non intraprendere azioni più decise. Dopo le pesanti provocazioni del 2010 – l’affondamento della fregata sudcoreana Cheonan, in cui persero la vita 46 persone, e il bombardamento nordcoreano attorno all’isola di Yeonpyeong – l’opinione pubblica sudcoreana ha chiesto risposte più dure alle provocazioni. Per esempio nel 2015, quando la Corea del Nord ha minato il percorso di pattugliamento dell’esercito di Seoul, ferendo gravemente due soldati, la Corea del Sud ha risposto ingaggiando un fuoco di sbarramento contro il Nord. Gli sviluppi successivi sono stati i più pericolosi dai tempi della guerra. Alla fine Pyongyang si è detta “dispiaciuta” per le sue azioni. E queste mezze scuse hanno convinto i falchi sudcoreani che usare il pugno di ferro paga.

Mentre il governo di Moon Jae-in assecondava i nordcoreani, facendo di tutto per evitare il confronto con Pyongyang, l’amministrazione Yoon sta preparando l’esercito per contrastare le minacce del nord. Purtroppo la nuova linea contempla la rappresaglia e perfino le violazioni dell’armistizio, contribuendo a far salire la tensione.

Oltre a disporre di armi nucleari, Pyongyang ha il vantaggio di poter nascondere all’opinione pubblica i costi umani degli scontri. In Corea del Sud, invece, il governo deve rendere conto ai cittadini delle vittime causate dalle decisioni che prende. Se poi queste perdite fossero il risultato di azioni che superano l’autodifesa Seoul dovrebbe giustificarsi anche con i suoi alleati.

Mostrare la vulnerabilità della Corea del Sud, che cerca di scattare da un drone delle foto che poteva trovare su Google Earth, è stato un errore di Pyongyang. E ora Seoul cercherà di applicare misure più rigide per difendersi dalle incursioni. Se un drone nordcoreano dovesse precipitare e uccidere dei sudcoreani, un’azione immediata per bloccare nuove incursioni potrebbe rientrare nell’ambito dell’autodifesa. Ma per mettere a punto delle contromisure efficaci serve tempo. Intanto, Seoul deve denunciare le violazioni di Pyongyang davanti alla comunità internazionale e cercare d’impedirne di nuove senza provocare danni collaterali ai suoi cittadini o alle sue infrastrutture. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1494 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati