“A meno di una vera e propria catastrofe, saranno mantenute le date previste del 10 e dell’11 aprile”. Con queste parole il 22 marzo il ministro cileno della salute, Enrique Paris, assicurava che le elezioni locali e per l’assemblea costituente non sarebbero state rinviate. Tre giorni dopo il governo ha cambiato idea. Ma la catastrofe era già cominciata. Dai poco più di tremila casi al giorno di metà febbraio, il 20 marzo si era a settemila, il dato più alto rilevato fino a quel momento. Il governo è vittima dello stesso autocompiacimento che ha portato il Cile alla catastrofe della prima ondata quando, ignorando gli avvertimenti degli esperti, si pubblicavano notizie su quanto il paese stava bene in confronto all’Argentina. Solo a maggio l’ex ministro della salute Jaime Mañalich ammetteva di “non essere consapevole” del livello di povertà e delle situazioni di sovraffollamento in Cile. Mañalich si è dimesso il 13 giugno. Il giorno dopo il paese ha raggiunto il picco di 6.938 casi in un giorno. Abbiamo un governo in grado di raggiungere successi numerici su un foglio Excel, ma incapace di tenere sotto controllo un atteggiamento trionfalistico, di capire la complessità del problema, di empatizzare con i cittadini e collaborare con gli avversari. È successo nel 2020 con l’acquisto dei respiratori e sta succedendo nel 2021 con la campagna vaccinale. Due successi importanti del governo, che però lo hanno reso cieco davanti alla realtà.
Un falso dilemma
Il 2 gennaio 2021 il comitato tecnico scientifico cileno ha raccomandato di vietare gli ingressi “dai paesi europei, dagli Stati Uniti e dal Sudafrica”. Poi, quando il Brasile è diventato un laboratorio di mutazioni del virus, gli esperti hanno chiesto di bloccare i voli da e verso quel paese. Ma questa misura è stata adottata solo ora, quando l’aggressiva variante brasiliana circola da tempo in Cile. L’8 marzo il comitato ha sottolineato la necessità di mantenere le restrizioni, perché “la campagna vaccinale è insufficiente a frenare la pandemia”. Il 26 marzo, con più di 7.500 casi al giorno, il ministro degli esteri ha detto che l’immagine del Cile fuori dal paese “si è consolidata grazie alla gestione della pandemia”. Un paio di giorni dopo due quotidiani statunitensi, il New York Times e il Washington Post, parlavano della situazione critica del nostro paese. Oggi, mentre superiamo il milione di contagi e gli ottomila casi al giorno, il governo continua ad autocompiacersi nei suoi rapporti quotidiani. Le notizie trionfalistiche del 2020 si ripetono e si afferma che “la seconda ondata è meno grave che in altri paesi”. Una parte della popolazione, vittima di questo stesso trionfalismo o in uno stato di rifiuto ormai patologico, agisce in modo irrazionale: il 2 aprile, mentre le terapie intensive erano al collasso e i giovani morivano di covid-19, si sono viste folle al Terminal pesquero (un mercato di Santiago) e in spiaggia a Valparaíso. Migliaia di automobilisti smaniosi di partire hanno provocato un ingorgo di quindici chilometri che ha portato a togliere il cordone sanitario intorno alla capitale. Gli antichi greci chiamavano “idioti” gli egoisti disinteressati alla cosa pubblica. Le auto in fila hanno rivelato che i cittadini irresponsabili hanno vinto il braccio di ferro contro un’autorità impotente.
Sanità o economia, sembra questa l’alternativa dell’esecutivo. Ma è un falso dilemma. I governi negazionisti come quello brasiliano di Jair Bolsonaro stanno uccidendo i loro cittadini mentre fanno sprofondare l’economia. Secondo uno studio recente dell’economista Philippe Aghion, i paesi che hanno applicato misure in modo più veloce e drastico contro il virus non solo hanno salvato più vite, ma hanno anche avuto un rendimento economico migliore. In Cile le frontiere dovevano essere chiuse prima, le attività lavorative dovevano essere limitate da tempo e i sussidi sociali dovevano essere più generosi. Siamo inciampati due volte sulla stessa pietra. Abbiamo un governo compiacente che continua a congratularsi con se stesso e cittadini “idioti” che preferiscono andare in vacanza. ◆ fr
Daniel Matamala _ è uno scrittore e giornalista cileno._
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Questo articolo è uscito sul numero 1404 di Internazionale, a pagina 24. Compra questo numero | Abbonati