La mattina del 27 febbraio un elicottero della guardia costiera, una nave militare e decine di sommozzatori perlustrano il mare della Calabria. Il giorno prima, all’alba, un vecchio peschereccio di legno con a bordo circa 180 persone è stato ridotto in mille pezzi dalle onde. Alle 8.15 di lunedì mattina viene recuperato il cadavere di un uomo. È la sessantaduesima vittima. Ma il bilancio della tragedia, una delle più gravi avvenute negli ultimi anni lungo le coste italiane, è destinato a salire ancora.

La spiaggia di Steccato di Cutro è coperta dai resti del naufragio. Lungo centinaia di metri sono ammassati i pezzi del vecchio peschereccio, distrutto dalla tempesta che in questi giorni si è abbattuta sulla costa calabrese. L’imbarcazione veniva da Smirne, nella Turchia occidentale, e navigava da quattro giorni con a bordo, tra gli altri, quattordici bambini, un neonato e delle donne incinte. Sulla sabbia ora ci sono gli zaini, i biberon, i sacchetti delle medicine, le scarpe da ginnastica e i giocattoli dei bambini che sono morti. I loro corpi sono stati portati, insieme a quelli delle altre vittime, nel palazzetto dello sport di Crotone.

“È una tragedia immane. Non ci sono parole”, dice con la voce spezzata Antonio Ceraso, il sindaco di Cutro, la cittadina calabrese al largo della quale è affondato il peschereccio. Mentre il bilancio delle vittime si precisa (al 1 marzo i morti accertati sono 67, ma ci sono ancora decine di dispersi, e i sopravvissuti sono 81), conosciamo le loro storie, una più drammatica dell’altra. L’ong Medici senza frontiere (Msf) ne riporta alcune. Una donna afgana ha perso il marito ed è disperata. Un ragazzo di sedici anni, anche lui afgano, è rimasto senza la sorella di ventott’anni: sono arrivati insieme sulla spiaggia, ma lei era morta. Lui non ha ancora avuto il coraggio di dirlo ai genitori, non sa come farlo. Un uomo di 43 anni, anche lui afgano, con un figlio di quattordici anni, ha perso la moglie e i suoi bambini di tredici, nove e cinque anni. A un dodicenne afgano è morta tutta la famiglia (nove persone in tutto), compresi i genitori e i fratelli. Una donna somala ha perso il fratello. Alcuni sono stati identificati dall’organizzazione con numeri e lettere. Tutti i sopravvissuti hanno perso almeno un familiare o un compagno di viaggio. Molti hanno rivelato agli psicologi di Msf di sentirsi profondamente in colpa perché hanno abbandonato i loro cari per salvarsi la vita.

Le prime critiche

I sopravvissuti sono stati ricoverati negli ospedali o accolti in un centro a Isola di Capo Rizzuto, a pochi chilometri dalla spiaggia del naufragio. Ci sono anche tre turchi, che la polizia considera i responsabili della traversata. Sono accusati di omicidio e traffico di esseri umani. Sono stati i primi a lasciare l’imbarcazione, prima che fosse distrutta dalle onde, e sono riusciti a raggiungere la riva. Probabilmente indossavano, al contrario di molti passeggeri, dei giubbotti di salvataggio, che ora giacciono abbandonati sulla spiaggia.

Intanto emergono le prime critiche ai soccorsi. Msf, che ha una nave sottoposta a fermo amministrativo nel porto di Ancona per volere del governo italiano, ritiene che siano stati fatti male e in ritardo. Il coordinatore dell’ong per i soccorsi nel Mediterraneo centrale, Juan Matías Gil, ha detto alla radio spagnola Cadena Ser: “La guardia costiera italiana è ben preparata a navigare in condizioni avverse. Ma la prima ricerca è stata affidata alla guardia di finanza, che ha meno mezzi e risorse. Se a uscire in mare fosse stata la guardia costiera, il peschereccio sarebbe stato trovato più in fretta e si sarebbero salvate più persone”. Le autorità italiane hanno chiesto a Bruxelles di adottare misure forti e unitarie per mettere fine a queste tragedie. Il presidente della repubblica Sergio Mattarella ha detto: “È altrettanto indispensabile che l’Unione europea assuma finalmente in concreto la responsabilità di governare il fenomeno migratorio per sottrarlo ai trafficanti di esseri umani, impegnandosi direttamente nelle politiche migratorie, nel sostegno alla cooperazione per lo sviluppo dei paesi da cui i giovani sono costretti ad allontanarsi per mancanza di prospettive”.

Il ministro dell’interno Matteo Piantedosi ha fatto una breve visita sulla spiaggia il 26 febbraio. Nessun altro esponente del governo italiano ci è andato. Non ci si aspetta che lo faccia la presidente del consiglio Giorgia Meloni, artefice di una rigida politica contro l’immigrazione cristallizzata nella legge che limita l’attività delle ong nel Mediterraneo. Sulla rotta seguita dall’imbarcazione partita dalla Turchia di solito non ci sono navi da soccorso. E il peschereccio è affondato ad appena 150 metri dalla costa. L’evento simboleggia dolorosamente ancora una volta il fallimento delle politiche migratorie dell’Italia e dell’Unione europea.

La tragedia di Steccato di Cutro riporta alla mente il naufragio dell’ottobre 2013 a Lampedusa, in cui morirono più di 350 persone. In quel caso l’imbarcazione viaggiava sulla rotta del Mediterraneo centrale. Quel dramma diventò la pietra angolare del dibattito sulle migrazioni in Italia, sfociato nella grande tempesta populista degli ultimi anni. La tragedia in Calabria fa emergere altri problemi e avviene in un paese che è molto cambiato. È rimasta uguale, però, la vergognosa perdita di vite umane e la mancanza di accordo tra l’Unione e i paesi membri. ◆ fr

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Questo articolo è uscito sul numero 1501 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati