Èstata chiamata epidemia del ballo. Uno strano evento la cui causa non fu mai scoperta e che si diffuse in varie città dell’Europa tra il duecento e il seicento. Nei Paesi Bassi, in Germania e in Francia le persone cominciavano a ballare improvvisamente, senza riuscire a fermarsi. Ballavano per giorni e notti, e alla fine cadevano per sfinimento. Qualcuno moriva. Nel 1518 una donna a Strasburgo cominciò a ballare e per giorni circa cinquecento persone si unirono a lei. Nel 1536 fu un gruppo di bambini ad aprire le danze. Ci sono diverse spiegazioni per questa specie di isteria collettiva. Alcuni studiosi dicono che dipendeva da un fungo, altri dal morso di un ragno. Secondo altri ancora si trattava di una forma di ribellione all’oppressione religiosa e alle dure condizioni di vita del medioevo. Secoli dopo questa sembra la spiegazione più convincente.

Negli ultimi anni anche noi siamo testimoni di un’epidemia di ballo. Per chi verrà dopo sarà facile scoprirne le ragioni. Capiranno che non era rimasta altra strada per chiedere condizioni di vita dignitose e, se le cose andranno per il verso giusto, diranno che le donne hanno cominciato a ballare fino alla libertà e il mondo le ha seguite.

Sembrano passati secoli dalle primavere arabe, eppure sono solo dieci anni. Le egiziane gridavano in piazza Tahrir, cantavano, ballavano. Ci sono state proteste in Tunisia e poi nel parco Gezi di Istanbul, in Turchia. Le persone hanno chiesto ognuno nella sua lingua una cosa sola: dignità. I manifestanti sono stati repressi duramente. In Egitto la rivoluzione è stata rubata, in Turchia sono stati uccisi dei bambini, la Tunisia cerca ancora di rialzarsi. Quello che è successo è rimasto scolpito nella memoria grazie a delle foto: la donna con l’abito rosso in Turchia, la ragazza con il reggiseno blu trascinata a terra dai militari egiziani, la giovane che abbassa la bandiera degli islamici radicali sul tetto dell’università di Tunisi. Anni dopo un’altra donna ha dato un calcio alla polizia a Beirut. Nello Yemen una ha intonato la canzone della rivoluzione. In seguito le statunitensi hanno ballato per le strade mettendo in guardia il paese contro il fascismo. C’è sempre una donna che balla e sfida quello che non va del mondo.

Così l’epidemia continua. Le donne in Cile protestano contro l’impunità degli stupratori. La loro canzone si diffonde in un mondo che sembra aver dichiarato guerra alle donne. Il ballo contro la violenza della polizia continua anche in Turchia. E sembra che non finirà. Si ferma e poi ricomincia.

Come il gelsomino

Teheran si è sollevata in una danza. Mahsa Amini, ventidue anni, è stata arrestata per non essersi coperta i capelli come vuole il regime ed è stata torturata a morte. Le donne, che fin dalla rivoluzione islamica hanno provato in ogni modo a opporsi, non hanno ascoltato le giustificazioni delle autorità e questa volta si sono messe a ballare. Si sono scoperte i capelli per strada, hanno dato fuoco ai veli e ballato intorno al fuoco. All’inizio il resto del mondo pensava che la protesta sarebbe finita presto. Ma il ballo è continuato e si è diffuso nel resto dell’Iran. E le donne di tutto il mondo si tagliano i capelli per solidarietà con le sorelle iraniane. Quel fuoco non si spegnerà facilmente. Poco dopo si è spostato in Russia. A Jakutsk le donne hanno formato un cerchio intorno alla polizia facendo la danza tradizionale osuokhai.

È giunto il momento di dare un nome a questa epidemia: la danza della rivolta contro la tirannia e l’ingiustizia. Come il diffondersi del gelsomino. Quando ero a Tunisi, dopo le proteste che gli occidentali avevano chiamato rivoluzione dei gelsomini, le anziane mi hanno spiegato come far crescere la pianta nel mio giardino. Dovevo prendere un ramo di gelsomino e farlo passare sotto terra fino al punto in cui volevo far crescere quello nuovo.

Oggi, quando qualcuno dice che le proteste in Iran non porteranno a nulla, penso a quelle piante. Perché c’è una somiglianza tra le rivoluzioni e i gelsomini. Prima di spuntare, i gelsomini avanzano sotto terra, poi d’un tratto sbocciano altrove. Un ramo di gelsomino dal Cairo a Beirut, un altro dal Cile a Teheran. I gelsomini sbocciano e avvolgono il mondo. E succederà ancora. La caduta dei tiranni e degli oppressori sarà accompagnata dalla danza delle donne.

Il patriarcato è l’alleato del fascismo. Sono inseparabili. Alla base del fascismo, nel mondo islamico e in quello cristiano, c’è la paura del femminile. Il fascismo è contro ogni cosa femminile, dichiara guerra alla parte fertile, rigogliosa e gioiosa della natura umana. E per prima cosa dà la caccia alle donne. È per questo che le donne di fronte al fascismo sono come i canarini nelle miniere: quando l’ossigeno diminuisce sono le prime a capirlo e cominciano a dibattersi e a ballare per segnalare il pericolo. Ora le donne si sono alzate in piedi per distruggere il fascismo e i suoi tentacoli che soffocano tutti. E una volta che le donne si alzano è impossibile farle sedere. Hanno sentito cosa ha detto all’inizio del novecento la rivoluzionaria statunitense Emma Goldman: “Se non posso ballare, allora non è la mia rivoluzione”. Le donne, come il gelsomino, sbocceranno nuovamente dalla terra. ◆ ga

Ece Temelkuran è una giornalista turca che vive in Croazia. In Italia ha pubblicato Come sfasciare un paese in sette mosse (Bollati Boringhieri 2019).

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Questo articolo è uscito sul numero 1481 di Internazionale, a pagina 18. Compra questo numero | Abbonati