Al telefono Donna Hunter è concisa. La sua voce trema un po’ solo quando invoca la fine di un sistema che ha fatto del male a suo nipote. “Cosa abbiamo in testa?”, chiede. “Stiamo forse aspettando che succeda l’impensabile prima di fare qualcosa?”. Suo nipote è finito in prigione tre volte nell’ultimo anno e mezzo, sempre al centro di detenzione minorile Don Dale di Berrimah, nel Territorio del Nord. È stato arrestato la prima volta per furto quando aveva dieci anni, ma Hunter sottolinea che lui capisce solo i danni fatti ad altre persone, non capisce il concetto di danno alla comunità sanzionato da un giudice. Gli è stato negato il rilascio su cauzione perché alla stazione di polizia di Palmerston non c’erano dispositivi per la sorveglianza elettronica, e così è stato mandato a Don Dale per tre settimane. Ha passato sette giorni in totale isolamento, come previsto dai protocolli per il contenimento del covid-19.

Assistenza terapeutica

Ormai questa è diventata una pratica comune. L’assistenza terapeutica era limitata, e spesso il bambino restava in cella per 23 ore al giorno. Le strutture del Don Dale sono vecchie, insalubri e fatiscenti. “Quei ragazzi hanno problemi, traumi”, dice Hunter. “Hanno bisogno di terapie, di un po’ d’amore e d’attenzione, non di restare chiusi da soli per ore”.

Racconta che in isolamento i pasti arrivavano al nipote attraverso uno sportello. “Non sono in un campo di concentramento. Per quei bambini dovrebbero esserci dei percorsi di reinserimento”. Secondo molti esperti, il sovraffollamento, i lunghi periodi d’isolamento, i requisiti molto rigidi per il rilascio su cauzione e la carenza di personale specializzato creano le condizioni per incidenti potenzialmente mortali. La maggior parte di questi problemi, se non tutti, sono stati evidenziati dai lavori della commissione per la protezione e la detenzione di minorenni nel Territorio del Nord, istituita nel 2016.

Una delle prime questioni emerse dall’inchiesta è che i centri di detenzione di Darwin e Alice Springs non erano adeguati allo scopo a causa di condizioni descritte come “severe, simili a quelle di un carcere per adulti e insalubri”. Spesso le strutture non rispettavano né le linee guida internazionali né quelle australiane in materia di detenzione dei minori e costituivano ambienti di lavoro poco sicuri per il personale. Gli attivisti locali, l’ufficio del commissario per l’infanzia del Territorio del Nord e le famiglie denunciano la sospensione del dovere di cura da parte del governo, che ha avuto effetti traumatici su centinaia di bambini.

Con il covid-19 le cose sono peggiorate. L’anno scorso i confini del Territorio del Nord sono rimasti sostanzialmente chiusi al resto dell’Australia per tutta la durata dell’ondata della variante delta del virus. Solo dopo il 20 dicembre 2021 le persone provenienti da altri stati non hanno dovuto più fare un periodo di quarantena e alla fine è stato abolito anche l’obbligo di sottoporsi al test del covid. Ma a gennaio il numero di contagi è esploso con la variante omicron. Di conseguenza l’isolamento forzato in cella fino a 23 ore al giorno nei centri di detenzione per minori di Don Dale e di Alice Springs è diventato di fatto un modo per gestire l’epidemia, anche perché la mancanza di personale rende impossibile l’assistenza sanitaria.

Nonostante questi protocolli a febbraio quasi un terzo dei detenuti a Don Dale è risultato positivo al covid-19, afferma il dipartimento territoriale per le famiglie, gli alloggi e le comunità. Da allora, a causa dei continui lockdown, i familiari non possono fare visita ai ragazzi, i servizi sono sospesi e restano in vigore rigide misure d’isolamento. Le ispezioni dell’ufficio del commissario per l’infanzia hanno rilevato che a Don Dale e Alice Springs mancavano le strutture per l’assistenza terapeutica e che le continue carenze di personale avevano ridotto i servizi medici ed educativi di base. Dal rapporto del commissario emerge che alcuni ragazzi sono stati lasciati in isolamento per quasi ventiquattr’ore in attesa di una valutazione medica.

I più colpiti

I problemi del sistema giudiziario minorile australiano ricadono in modo particolare sulle popolazioni aborigene e sugli abitanti delle isole dello stretto di Torres. Più del 96 per cento dei detenuti a Don Dale e Alice Springs sono aborigeni, la maggior parte maschi. Molti addetti ai lavori descrivono una profonda indifferenza nei confronti delle comunità indigene, nel Territorio del Nord ma anche nel resto dell’Australia, soprattutto quando si parla di detenzione di minori. Il legale di un ragazzo detenuto a Don Dale ha parlato di razzismo istituzionale. John B. Lawrence, avvocato che ha rappresentato due ex detenuti di Don Dale davanti alla commissione, ha dichiarato al Saturday Paper: “È successo solo perché si trattava di aborigeni. Non sarebbe mai potuto succedere se fossero stati bambini bianchi”.

Il dipartimento territoriale per le famiglie, gli alloggi e le comunità ha dichiarato che “tutti i ragazzi ricevono i servizi più adatti alle loro esigenze e sono assistiti secondo modalità culturalmente rispettose”. Nella dichiarazione scritta si precisa che le visite dei servizi di supporto esterni erano state interrotte durante le ondate di covid-19, ma erano comunque consentite le valutazioni in teleconferenza. Molte famiglie, compresa quella di Hunter, sostengono però che i servizi disponibili non erano in grado di offrire neanche l’assistenza di base.

Maschere e cappucci

Dopo la pubblicazione nel 2016 di immagini in cui si vedevano bambini con delle maschere per impedire di sputare e manette ai polsi e dopo un’inchiesta della tv pubblica australiana Abc, il primo ministro dell’epoca Malcolm Turnbull annunciò l’apertura di un’inchiesta. La successiva commissione per la protezione e la detenzione dei minori nel Territorio del Nord produsse 147 conclusioni e 227 raccomandazioni. Una di queste affermava che nelle strutture di detenzione per minorenni doveva essere vietato l’uso di cappucci per impedire ai ragazzi di sputare. Ma una recente inchiesta del quotidiano Nt News ha scoperto che la polizia continua a usare le maschere nei commissariati, che sono spesso la prima tappa per un minore arrestato e non sono incluse nel divieto. Gli attivisti per i diritti civili hanno protestato con il governo del Territorio del Nord e con la polizia, accusandoli di approfittare di questa scappatoia legale.

Un’altra raccomandazione importante della commissione riguardava la chiusura di Don Dale. Non è stata accolta dal governo, che negli ultimi cinque anni ha speso circa tre milioni di dollari per potenziare il centro con nuovi sistemi di telecamere a circuito chiuso e altre migliorie. L’avvocato Lawrence osserva che in precedenza questa struttura ospitava un carcere per adulti, e che quindi non è adatta alla detenzione di minori.

La commissione proponeva inoltre di portare l’età per l’imputabilità penale dai dieci ai dodici anni nel Territorio del Nord e di escludere dalla detenzione chi ha meno di 14 anni se non ricorrono gravi circostanze. Se questa raccomandazione fosse stata accolta, il nipote di Hunter non sarebbe mai finito in carcere. A maggio del 2021, inoltre, il governo laburista del Territorio del Nord ha approvato una riforma che revoca automaticamente il rilascio su cauzione per casi di gravi infrazioni ed elimina la concessione della cauzione per gli incensurati. David Woodroffe, della North australian aboriginal justice agency, ha definito la situazione di Don Dale “un ininterrotto disastro di ingiustizie” legato alla mancata azione del governo dopo i lavori della commissione. Ha osservato che i bambini aborigeni sono spediti nei centri di detenzione a un’età sempre più bassa, secondo lui una conseguenza delle leggi “punitive” che regolano la cauzione.

Senza aspettare

Per fare pressione contro le inefficienze del sistema della giustizia minorile, Hunter è entrata in un gruppo d’azione comunitario che chiede la chiusura di Don Dale. Afferma che le raccomandazioni della commissione sono state ignorate. Hunter ricorda una telefonata di suo nipote durante le tre settimane di reclusione nel penitenziario, quando non poteva fargli visita a causa dei lockdown. “Ciao nonna. Mi sei mancata. Sto bene, nonna, non ti preoccupare. Non ti preoccupare”, le ha detto. “Ti si spezza il cuore”, conclude Hunter. “Non possiamo aspettare che muoia un bambino”. ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1458 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati