È incredibile come l’opera di Alberto Breccia, il maestro argentino scomparso nel 1993, sia di una coerenza estrema. Non solo per la ricerca formale ed espressiva, unica al punto che se fosse pubblicato oggi sembrerebbe uno sperimentatore e innovatore del fumetto d’avanguardia, ma anche per l’assonanza di temi e sottotemi che pervadono la sua opera. Fin dalle collaborazioni degli anni sessanta con il grande sceneggiatore desaparecido Héctor Germán Oester­held (Sherlock time, Mort Cinder, L’Eternauta) che vertono su un pessimismo storico che scivola in quello cosmico e sulla circolarità del tempo come una prigione. Queste “versioni realizzate nel 1986 con Juan Sasturain a partire da racconti di Juan Rulfo, Alejo Carpentier, Juan Carlos Onetti e dei più noti Borges e García Márquez (a cui si aggiunge La gallina sgozzata di Horacio Quiroga su sceneggiatura di Carlos Trillo) non fanno eccezione per l’asciuttezza pessimistica e beffarda sull’insensatezza inesorabile dell’agire umano nella storia che si ripete, immobile o circolare. L’arte visiva di Breccia, restituita da una splendida qualità di stampa, trasforma i volti umani in maschere rabbiose, crudeli o ingenue, fondendo in modo unico influenze dall’arte primitiva con un espressionismo reinventato. Come graffi disperati (sulla carta) di un animale selvatico che ha brevemente preso coscienza di sé. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1513 di Internazionale, a pagina 85. Compra questo numero | Abbonati