In Iran le persone protestano. Sono donne, soprattutto ragazze, e a loro si stanno aggiungendo molti uomini. Tutto è cominciato il 16 settembre dopo la morte di Mahsa Amini, fermata a Teheran dalla polizia religiosa perché non indossava il velo in modo corretto. Finora si contano più di settanta morti e migliaia di arresti.

In Russia le persone protestano. In tutto il paese ci sono manifestazioni contro la mobilitazione annunciata da Vladimir Putin. Duemila gli arresti finora, dice la Bbc. Gli scontri più violenti sono stati in Daghestan, la repubblica che ha registrato il numero più alto di soldati morti in guerra.

In Tunisia le persone protestano. I supermercati sono vuoti, mancano zucchero, burro, acqua minerale e presto potrebbero scarseggiare anche latte e pane, i prezzi aumentano, quelli del carburante in particolare. Centinaia di tunisini sono scesi in piazza spontaneamente nei quartieri popolari della capitale.

In Italia le persone protestano. Sono soprattutto ragazze e ragazzi che hanno partecipato in settanta città allo sciopero globale di venerdì scorso contro la crisi climatica. Erano trentamila a Roma, diecimila a Milano e altrettanti a Torino. Molti di più di quelli che, lo stesso giorno, erano ai comizi di chiusura della campagna elettorale.

Perché le proteste sono sempre importanti per la democrazia? Richard Norman, professore emerito di filosofia morale dell’università di Kent, nel Regno Unito, ha provato a elencare sei ragioni su OpenDemocracy: “1. Le persone si rendono conto di non essere sole. 2. Protestare significa modificare le priorità e aprire un dibattito. 3. In una democrazia elettorale, le proteste forniscono una voce essenziale alle minoranze. 4. A volte si vince! 5. A volte si vince in modi che non erano stati previsti o pianificati. 6. A volte si vince, ma non subito e serve più di una generazione”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1480 di Internazionale, a pagina 9. Compra questo numero | Abbonati