Grand Rapids, Michigan, Stati Uniti, 2022. Un tredicenne che lavora in una fattoria dodici ore al giorno per sei giorni a settimana. (Kirsten Luce, The New York Times/Contrasto)

Nel 2023 lo sfruttamento minorile dovrebbe essere un ricordo del passato, fatto di immagini sbiadite, di bambini sporchi e malnutriti nella Londra della rivoluzione industriale. Infatti in Europa le prime norme che vietano il lavoro minorile risalgono alla fine dell’ottocento.

In Italia il divieto è previsto dalla costituzione e codificato con una legge del 17 ottobre 1967. Ma i bambini e le bambine continuano a essere sfruttati, in tutto il mondo.

Recentemente negli Stati Uniti i governi repubblicani di una decina di stati hanno avuto un’idea geniale per risolvere la mancanza di manodopera che, anche lì, affligge diversi settori: far lavorare gli adolescenti, allentando le leggi faticosamente conquistate negli ultimi decenni.

Nonostante una risoluzione delle Nazioni Unite abbia dichiarato il 2021 anno internazionale per l’eliminazione del lavoro minorile, per la prima volta in vent’anni questo è in aumento.

I dati dell’Unicef e dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) segnalano che i bambini e i ragazzi tra i 5 e i 17 anni che lavorano sono passati da 151 milioni nel 2016 a 160 milioni nel 2020, di cui quasi la metà costretti a svolgere lavori duri e pericolosi.

E sebbene i numeri siano più alti nei paesi a basso reddito, l’Ilo calcola che circa due milioni di bambini lavorano nei paesi ad alto reddito. Come l’Italia, dove secondo un’indagine di Save the children 336mila minorenni tra i 7 e i 15 anni hanno avuto esperienze di lavoro. E come gli Stati Uniti, l’unico paese che non ha ratificato la convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia.

Un rapporto del 2015 del congresso ha espresso il timore che la convenzione possa minare la sovranità degli Stati Uniti e contrastare con i diritti dei genitori all’educazione dei figli.

Ma la rivista medica The Lancet suggerisce anche un’altra ragione: se ratificata, la convenzione comporterebbe per gli Stati Uniti l’obbligo di concedere lo status di rifugiato e le tutele sociali ai bambini sfruttati, che nella maggior parte dei casi sono figli di persone immigrate. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1514 di Internazionale, a pagina 5. Compra questo numero | Abbonati