Il titolo fonde l’appucundria, la sensazione lucida di un malessere radicale cantata da Pino Daniele, con i Grundrisse, i manoscritti interrotti in cui Marx prima del Capitale provò a riflettere sul cambiamento delle società umane.

Dalla propria prospettiva di napoletano espatriato, esponente di una classe media intellettuale e appartenente alla generazione tradita da Bassolino e dai suoi successori, l’autore racconta in modo nitido e sconsolato la trasformazione della sua città negli ultimi trent’anni. Spiega che mentre i più grandi successi letterari italiani puntavano i riflettori sulla Napoli “aberrante”, quella periferica, una trasformazione fondamentale investiva il centro, che diventava turistico senza passare per la gentrificazione, era invaso dalla ristorazione che escludeva quasi ogni altra attività e più in generale, pur continuando a vendere l’immagine di un luogo capace di conservare una sua anima tradizionale, diventava il laboratorio di politiche liberiste che, lasciando i cittadini in balia della propria iniziativa, e aiutati dalle piattaforme a mettere a reddito ogni possibile risorsa, riducevano interventi pubblici, solidarietà e progetti.

Solidamente basato su una vivace ricerca etnografica e sociologica (Nick Dines, Sarah Gainsforth), Appugrundrisse invita a pensare a Napoli come a “un mare in bonaccia che nella realtà si presenta tempestoso”. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1485 di Internazionale, a pagina 92. Compra questo numero | Abbonati