Hong Kong continua a cambiare giorno dopo giorno, mentre le autorità locali cercano di rimodellare tutti gli aspetti della vita quotidiana seguendo il modello di Pechino. Nel 2o20 il presidente cinese Xi Jinping ha imposto una legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong per punire gli atti di sovversione, secessione, terrorismo e “complicità con le forze straniere”, vietando molti degli slogan che hanno caratterizzato le manifestazioni a favore della democrazia cominciate nel 2019 in città.

Leggendo i giornali locali, ho scoperto che la legge sulla sicurezza nazionale dev’essere applicata praticamente in tutti i campi: ogni funzionario governativo, dal piccolo burocrate ai dirigenti, deve farla applicare, e quindi anche i settori apparentemente più insignificanti diventano motivo d’inquietudini impreviste. Chi deve occuparsi della raccolta dei rifiuti, per esempio, deve ribadire in tutte le riunioni che l’applicazione della norma è sua responsabilità personale.

Dopo l’approvazione della legge sulla sicurezza nazionale sono finiti i tempi in cui per strada si poteva chiedere a qualcuno la sua opinione su una canzone o su uno slogan

E riguardo alla prevenzione degli incendi, l’igiene, la prevenzione di malattie infettive, i percorsi dei mezzi pubblici? Mai dimenticare i possibili risvolti legati alla legge voluta da Pechino. I tassisti sono stati invitati dalla polizia a denunciare immediatamente ogni attività sospetta da parte dei loro passeggeri o delle persone in strada. Ai luoghi che ospitano mostre o spettacoli è stato ricordato che tutte le loro manifestazioni devono salvaguardare la sicurezza nazionale.

Intanto continuano, a rilento, i processi a chi è accusato di averla messa in pericolo. Sugli autobus ci sono strani annunci governativi, che a prima vista sembrano pubblicità di film d’azione, e invece sono avvisi che ordinano di segnalare subito alla polizia qualsiasi cosa desti diffidenza, oppure sono immagini di poliziotti in tenuta antisommossa intenti a sventare attacchi terroristici.

Un giorno camminavo su una passerella che collega una banca a un centro commerciale. Un signore suonava l’erhu (uno strumento cinese a due corde) e sorridendo diffondeva le note di Gloria a Hong Kong”, l’inno dei manifestanti che il governo sta cercando di vietare in tutto il mondo. Un tempo qualcuno si sarebbe fermato ad ascoltarlo, magari lasciando una piccola mancia. Invece stavolta tutti passavano veloci, e mi è sembrato di vedere sorpresa e paura nel volto di chi si allontanava dopo aver riconosciuto il brano. A Hong Kong sono finiti i tempi in cui per strada si poteva chiedere tranquillamente a qualcuno la sua opinione su una canzone o su uno slogan. Il musicista, intanto, continuava ad accompagnare con i movimenti del corpo le note dell’inno alla città, scritto dai manifestanti del 2019.

In un’altra occasione, nell’area ristorazione di un piccolo centro commerciale di un quartiere operaio, un venditore di spaghetti in brodo aveva appeso una frase beneaugurante accanto alla finestrella da cui porgeva le scodelle piene. C’era scritto: “Cittadini di Hong Kong tenete duro”. Ho voluto fotografarla, perché le rarità vanno documentate, e lui mi ha rivolto uno sguardo fugace. Si sarà chiesto perché facevo quella foto? Forse in tempi diversi i nostri sguardi si sarebbero incontrati in maniera molto più significativa. Anche in questo caso, per non mettere in pericolo nessuno, meglio non fare domande.

Nel frattempo il governo sta aumentando la pressione per cancellare il cantonese, la lingua di Hong Kong, e sostituirlo con il mandarino parlato nel resto della Cina (per amore o per forza). Ha appena sciolto la Societas linguistica hongkongensis (Slhk), un’associazione fondata da Andrew Chan che promuoveva l’uso del cantonese e organizzava periodici concorsi di scrittura (contrariamente a quanto si dice, non è vero che tutti i tipi di cinese sono scritti nello stesso modo. Infatti il cantonese, che fino a tempi recenti non doveva sottostare a nessuna delle politiche linguistiche uniformanti promosse nel resto della Cina, ha avuto molto tempo per sviluppare appieno la sua scrittura).

Chan è un giovane di Hong Kong e ama la sua lingua madre. Si è spaventato dopo che la polizia speciale, quella responsabile di far rispettare la sicurezza nazionale, ha perquisito la casa dei suoi genitori, dove non abita più. Il motivo dell’operazione era un racconto sul sito della Slhk, pubblicato tre anni fa, che immaginava una società distopica in cui non si poteva più parlare cantonese, e Hong Kong era diventata irriconoscibile.

Il giorno della perquisizione, Chan era all’estero, e ha dichiarato che non tornerà, aggiungendo che in realtà la sua organizzazione era già stata chiusa. Aver affidato a ogni funzionario la responsabilità di proteggere la sicurezza nazionale produce uno zelo che Hong Kong non aveva ancora conosciuto. ◆

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Questo articolo è uscito sul numero 1528 di Internazionale, a pagina 36. Compra questo numero | Abbonati