Da dove cominciare per analizzare gli ultimi sviluppi del “dialogo” tra Kosovo e Serbia? Innanzitutto va detto che non c’è nessun dialogo: quello in corso è un tentativo di Unione europea e Stati Uniti di riavviare un negoziato rimasto a lungo dormiente senza neanche prendersi la briga di coordinare gli sforzi.
A giudicare dagli eventi delle ultime settimane, Bruxelles e Washington stanno soprattutto cercando di neutralizzare le iniziative diplomatiche l’una dell’altra nella regione. Più che la distanza siderale che c’è ancora tra Pristina e Belgrado, la situazione riflette la crisi dei rapporti tra Stati Uniti e Unione europea e dell’architettura dell’ordine atlantico. Anche per questo potrebbe essere un buon momento per fare il punto su alcune realtà politiche ormai evidenti che riguardano la regione.
In Serbia le elezioni parlamentari del 21 giugno hanno consolidato il regime monopartitico di Aleksandar Vučić al punto che oggi nel paese non esiste un’opposizione istituzionale. Il risultato è che tutte le tendenze antidemocratiche e illiberali osservate nell’ultimo decennio sono destinate a rafforzarsi. Insieme al suo regime satellite nella Repubblica Serba (una delle due entità della Bosnia Erzegovina), oggi la Serbia ha il sistema di governo più autoritario dei Balcani occidentali.
Il Kosovo, nel frattempo, continua a sprofondare nel caos politico. L’incriminazione del presidente Hashim Thaçi, accusato di crimini di guerra dalla corte speciale che indaga sui delitti dell’Uck, ha esasperato una crisi che si trascina da mesi. Alla fine di marzo il parlamento aveva sfiduciato il governo di Albin Kurti, in carica da febbraio. Il nuovo esecutivo, guidato da Avdullah Hoti, è sostenuto da una maggioranza parlamentare, ma gli ultimi sondaggi (non del tutto credibili) indicano che Vetëvendosje!, il partito di Kurti, è ancora la prima forza del paese. Il governo di Hoti non ha quindi la credibilità e la forza per firmare un accordo cruciale con Belgrado. In questa situazione è probabile che la maggioranza parlamentare che lo sostiene si sfaldi al primo accenno di conflitto, soprattutto se Thaçi, il padrino del nuovo governo, sarà davvero processato.
Una posizione coerente
Il Kosovo, in altre parole, è politicamente alla deriva. Il suo sistema di governo è sicuramente più democratico di quello serbo, ma al paese manca la compattezza che ha un regime autocratico come quello di Vučić. È difficile pensare che nel futuro prossimo un governo kosovaro abbia la legittimità e il sostegno necessari per intavolare una trattativa seria con Belgrado.
Tutto questo ci riporta agli Stati Uniti e all’Unione europea. Sulla rivista Foreign Affairs, il politologo Edward Joseph ha analizzato tutti gli errori commessi dall’inviato speciale di Washington, Richard Grenell, nel suo maldestro tentativo di rilanciare il dialogo serbo-kosovaro.
◆ La sera del 7 luglio 2020 migliaia di persone hanno protestato a Belgrado, in Serbia, contro la reintroduzione di severe misure di sicurezza anti-covid, decisa dal presidente **Aleksandar Vučić **dopo il recente aumento di morti e contagi. La polizia ha usato i lacrimogeni e i manganelli per disperdere i manifestanti che chiedevano le dimissioni di Vučić, accusato di governare con metodi autoritari e di non aver saputo gestire la crisi sanitaria. La Serbia era stata tra i primi paesi a uscire dal lockdown, anche per consentire lo svolgimento delle elezioni del 21 giugno, vinte dal partito di Vučić.
Ma non bisogna trascurare nemmeno il ruolo dell’Unione europea. Anche Bruxelles ha un suo inviato speciale per il Kosovo e la Serbia, Miroslav Lajčák, ma i suoi risultati non sono certo migliori di quelli di Grenell. Per di più Lajčák è di un paese, la Slovacchia, che non riconosce il Kosovo come stato sovrano. Lo stesso vale per la Spagna, patria di Josep Borell, l’alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza dell’Unione.
Bruxelles, insomma, ha assegnato due degli incarichi più importanti per i Balcani a cittadini di stati che non riconoscono l’indipendenza del Kosovo. L’Europa, inoltre, sta vergognosamente temporeggiando sulla liberalizzazione dei visti per il Kosovo. E nel 2019 Federica Mogherini, allora a capo della diplomazia europea, è stata il primo alto funzionario straniero ad appoggiare il pericoloso progetto di uno scambio di territori tra Pristina e Belgrado. Per la verità, nel 2011 era stata proprio Bruxelles a promuovere il dialogo tra i due paesi, ma il negoziato si era subito arenato, rimanendo congelato fino al recente intervento americano. Il disastroso piano di Grenell è stato accolto con malcelato disprezzo in Europa. Ma neanche l’Unione ha grandi motivi di vanto. Grenell ha fallito, ma resta il fatto che sul Kosovo da almeno dieci anni Bruxelles porta avanti una politica del tutto inefficace.
Come procedere quindi? Per prima cosa bisogna ricordare che a pagare il prezzo di questi insuccessi sono i cittadini kosovari, intrappolati in un limbo diplomatico e politico che dura dalla conclusione del conflitto armato con la Serbia, nel 1999.
Stati Uniti e Unione europea devono trovare un’intesa e capire che, al di là delle legittime differenze, condividono l’interesse a mantenere la propria influenza nei Balcani. Per farlo dovranno presentare soluzioni accettabili, per il Kosovo ma anche per il resto della regione. Nella situazione attuale, infatti, gli unici a beneficiare dei problemi diplomatici tra Bruxelles e Washington sono i leader autoritari come Vučić e i loro amici a Mosca e Pechino.
I leader kosovari dovranno invece mettere ordine in casa propria, magari convocando elezioni anticipate o formando un governo di unità nazionale. Le opzioni sono varie, ma l’obiettivo dev’essere esprimere una posizione coerente sul negoziato. Se non si ricomincerà a negoziare seriamente, presto tornerà a far capolino la tentazione di manovre pericolose come il catastrofico scambio di territori o l’unione tra Kosovo e Albania. A quel punto il limbo in cui si trovano i kosovari potrebbe trasformarsi in una crisi devastante. ◆ as
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Questo articolo è uscito sul numero 1366 di Internazionale, a pagina 32. Compra questo numero | Abbonati