Il suo volto era un paese straniero

e la sua lingua una pistola nascosta.

La sua risata era una sirena antiaerei

e la sua bocca una grotta scavata nella terra irachena,

una fossa poco profonda ai margini della città.

La sua barba era il filo spinato intorno al campo

e la sua pelle una mappa disegnata a mano e cucita

[nella camicia,

un terreno deserto a mezzanotte.

I suoi occhi erano soffici mine sepolte e abbandonate

e la sua voce interferenze radio colte tra due stazioni.

Le sue costole erano le sbarre afferrate di una gabbia

[a Guantánamo Bay

e le sue labbra la fila ordinata alla dogana,

il confine tra due territori.

E camminava come un’alunna tra le macerie di casa

e parlava come un aereo a bassa quota

[che vorrebbe atterrare.

Benvenuto in Inghilterra.

Asalaam alaikum.

Ma l’ufficio immigrazione era

[una lettera d’amore scritta in un’altra

lingua

e quando sorrise

i suoi denti

erano lo skyline

di New York.

Joelle Taylor è una poeta, scrittrice, drammaturga e performer britannica nata nel 1967. Ha fondato il campionato di slam poetry SLAMbassadors e ha ricevuto il T.S. Eliot prize nel 2021. Questo testo è tratto dalla sua seconda raccolta, The woman who was not there (Burning Eye Books 2014). Traduzione dall’inglese di Francesca Spinelli.

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Questo articolo è uscito sul numero 1499 di Internazionale, a pagina 88. Compra questo numero | Abbonati