Durante la sua visita a Hong Kong nel 1984, poco dopo l’accordo che stabiliva la restituzione del territorio nel 1997, la premier britannica Margaret Thatcher dovette rispondere a una domanda difficile in conferenza stampa: “Due giorni fa ha firmato con la Cina un accordo che promette di consegnare più di cinque milioni di persone nelle mani di una dittatura comunista”, le chiese la giornalista Emily Lau. “È una scelta difendibile sul piano morale? O è vero che nella politica internazionale la forma più alta di moralità è il proprio interesse nazionale?”.

Oggi Lau ha 68 anni ed è un riferimento importante per chi difende la democrazia. Con quella domanda fatta 36 anni fa stava affermando che era sbagliato restituire la città a una dittatura senza proteggere a sufficienza le persone che ci vivevano, per esempio garantendogli la cittadinanza britannica. Thatcher replicò che tutti a Hong Kong stavano festeggiando l’accordo e, con una certa freddezza, suggerì che forse la giornalista era “l’unica eccezione”. La lady di ferro assicurava che non ci sarebbe stato alcun problema perché, a prescindere dalla linea politica del regime comunista cinese, che in effetti rifiutava la democrazia, l’accordo sanciva l’impegno ad assicurare al popolo di Hong Kong lo stesso stile di vita fino al 2049. Erano gli albori del modello definito “un paese, due sistemi”. La giovane Lau temeva uno scenario più cupo, e il 30 giugno scorso la sua paura è diventata realtà.

Un paese, un sistema

La legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong, che scuote alle fondamenta il modello “un paese, due sistemi”, è stata approvata a Pechino con una procedura che ha aggirato il parlamento locale. La legge è entrata in vigore a poche ore dal 23° anniversario della restituzione di Hong Kong alla Cina.

Intanto, nel 2012, Lau è diventata presidente del Partito democratico ed è stata a sua volta soprannominata la lady di ferro di Hong Kong. L’abbiamo intervistata in una fresca mattina di metà gennaio. “Libertà e democrazia non sono concesse dal cielo ma dobbiamo conquistarcele da soli e proteggerle”, ha detto sottolineando l’importanza di uno sforzo costante. Due mesi prima le forze filodemocratiche avevano ottenuto un’importante vittoria alle elezioni amministrative: a Taiwan, la presidente uscente Tsai Ing-wen (Partito progressista democratico), favorevole all’autonomia dell’isola garantita dallo status quo, si era appena assicurata un secondo mandato vincendo con un grosso margine.

Per persone come lei l’aria era piena di speranze. Lau guardava al voto per il rinnovo del consiglio legislativo, il parlamento di Hong Kong, previste per il prossimo settembre, e pensava con ottimismo che la partecipazione dei giovani alla politica e alle elezioni avrebbe potuto determinare dei cambiamenti non solo nella città, ma in tutto il mondo. La situazione, però, ha preso una piega inattesa.

Pochi giorni dopo l’intervista, la città di Wuhan, nella provincia dell’Hubei, è stata chiusa a causa dell’epidemia di ­covid-19. Il virus si è diffuso all’estero provocando sconvolgimenti politici, economici e sociali in tutto il mondo. E nel mezzo di questi sconvolgimenti, il 28 maggio, l’Assemblea nazionale del popolo cinese ha avviato l’iter per introdurre a Hong Kong una legge sulla sicurezza nazionale. Il 30 giugno la legge è stata approvata e il 1 luglio è entrata in vigore.

Un tema caro a Xi Jinping

Il concetto di sicurezza nazionale è fondamentale per il presidente cinese Xi Jinping. Nell’autunno del 2013, durante un importante vertice del Partito comunista cinese fu istituita una commissione ad hoc, inaugurata formalmente a gennaio dell’anno successivo. Il 1 luglio del 2015 in Cina fu promulgata una nuova legge che prevedeva di adattare alle politiche sulla sicurezza nazionale vari settori, tra cui il governo, i territori, l’economia e internet. La scelta della data, il 1 luglio, anniversario della restituzione di Hong Kong, lasciava indicare che proprio il territorio fosse il suo bersaglio principale. Forse all’epoca non si capì.

Da sapere
Nuovi poteri alla polizia

Il 1 luglio 2020 è entrata in vigore a Hong Kong la legge sulla sicurezza nazionale. La norma è stata imposta da Pechino senza passare per il parlamento locale: una violazione dell’accordo del 1984 tra la Cina e il Regno Unito, che stabiliva i termini della restituzione del territorio alla Cina, avvenuto nel 1997. Pechino si impegnava a mantenere inalterato per cinquant’anni lo stile di vita degli abitanti di Hong Kong, cioè a garantire le libertà fondamentali, sconosciute ai cittadini della Cina continentale. La legge sulla sicurezza punisce gli atti di secessione, sovversione, terrorismo e collusione con forze straniere, reati abbastanza vaghi da includere una vasta gamma di comportamenti. È chiaro che i primi destinatari della norme sono le persone che per buona parte del 2019 hanno manifestato contro l’ingerenza di Pechino. L’applicazione della legge è arrivata dopo un procedimento rapidissimo (sei settimane) e ha portato ai primi arresti già il 1 luglio. In occasione del 23° anniversario della restituzione di Hong Kong, centinaia di persone hanno sfidato il divieto di manifestare e circa trecento sono state arrestate dalla polizia. Nei giorni successivi la polizia ha fermato anche alcune persone che manifestavano in silenzio tenendo cartelli bianchi in mano, perché sospettate di violare la nuova legge. A capo dell’ufficio per la sicurezza nazionale, aperto l’8 luglio, è stato nominato Zheng Yanxiong, un funzionario del partito del Guangdong, nel sud della Cina, esperto di propaganda. Zheng dirigerà una squadra di agenti arrivati dalla Cina continentale. La polizia, scrive Hong Kong Free Press, ha ora il potere di perquisire senza mandato le abitazioni dei sospettati, congelarne le proprietà, limitarne i movimenti e intercettare le comunicazioni. Può inoltre chiedere ai fornitori di servizi internet di cancellare articoli e post che violino la legge. Facebook, Twitter, Google, Whats­App, Telegram, Zoom e Tik Tok hanno sospeso la trasmissione dei dati degli utenti alle autorità. ◆


La nuova legge imposta a Hong Kong sancisce l’istituzione nel territorio di una commissione per la tutela della sicurezza nazionale, in linea con quelle misure a prescindere dall’“alto grado di autonomia” promesso a Hong Kong. In una stretta in stile cinese, fatti come la scomparsa, nel 2015, dei cinque librai di Hong Kong che vendevano testi sugli scandali che avevano coinvolto Xi Jinping e altri importanti funzionari cinesi sarebbero normali (i cinque, come si sarebbe saputo in un secondo momento, furono portati nella Cina continentale dalle autorità cinesi). Gli arresti di questo tipo diventano legali con le nuove norme.

Il testo della legge, diffuso solo nella tarda serata del 30 giugno, dice che per casi gravi i sospettati potrebbero essere estradati nella Cina continentale e condannati all’ergastolo.

Thatcher è morta sette anni fa. L’accordo tra Cina e Regno Unito che a suo dire era stato accolto con favore da tutti è stato sepolto dai cinesi nel 2017. All’epoca un funzionario del ministero degli esteri di Pechino dichiarò che l’intesa non aveva più alcun significato realistico. Margaret Thatcher aveva torto ed Emily Lau ragione. Con molto ritardo ora il governo britannico sta cercando di ampliare il trattamento preferenziale riservato a chi era cittadino di Hong Kong da prima del 1997 e ha diritto a un passaporto speciale, facilitandogli il trasferimento nel Regno Unito e le procedure per ottenere la cittadinanza.

La controparte di Thatcher nella firma dell’accordo era il primo ministro Zhao Ziyang, un riformatore illuminato che sarebbe poi diventato segretario generale del partito. Il 4 giugno di cinque anni dopo, a piazza Tiananmen, Pechino dimostrò a tutto il mondo che non avrebbe esitato a ricorrere all’esercito per reprimere manifestazioni pacifiche. Zhao fu condannato dal partito per la solidarietà espressa al movimento studentesco e rimosso dal suo incarico. Morì nel 2005, dopo aver trascorso molti anni agli arresti domiciliari.

Ogni anno il 4 giugno gli abitanti di Hong Kong, preoccupati per il futuro dell’accordo basato sul principio “un paese, due sistemi”, organizzano una manifestazione in memoria delle vittime di Tiananmen. O, meglio, organizzavano: quest’anno la veglia è stata vietata, così come la manifestazione pacifica per l’anniversario del 1 luglio.

Se Margaret Thatcher fosse viva, cos’avrebbe detto ai cinesi che hanno violato la loro promessa? ◆ gim

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Questo articolo è uscito sul numero 1366 di Internazionale, a pagina 20. Compra questo numero | Abbonati