Il presidente russo Vladimir Putin sostiene che quattro regioni dell’Ucraina – quelle di Luhansk, Donetsk, Zaporižžja e Cherson – siano entrate a far parte della Federazione russa. Dal punto di vista giuridico e del buon senso quest’annessione ha un valore pari a zero e non fa che aggravare i problemi della Russia. L’economia del paese, sottoposta alle sanzioni e all’isolamento internazionale, non sarà in grado di sostenere la ricostruzione dei territori occupati. C’è poi da dire che per dei funzionari corrotti, come sono quelli russi, non c’è niente di meglio che occuparsi di “ricostruire” città colpite da attacchi militari.

Anche le possibilità di una soluzione diplomatica alla guerra sono azzerate. Perfino i più fedeli alleati di Putin ormai lo considerano “tossico”, e gli stati confinanti con la Russia sanno bene che prima o poi Mosca potrebbe decidere di “salvare” anche loro, possibilità da cui traggono le dovute conclusioni. Il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj ha dichiarato che l’annessione impedisce qualsiasi tipo di trattativa: ai russi che vogliono la pace non resta che trovarsi un nuovo presidente. La Russia sta agonizzando anche dal punto di vista sociale. Nonostante la stagnazione economica e la fuga di centinaia di migliaia di persone dopo l’annuncio della mobilitazione, la vita quotidiana può essere ancora piuttosto gradevole. Quello che non può esistere alle condizioni dettate da Putin – con la violenza e l’illegalità che si sommano al nepotismo e alla corruzione già radicati – è la società. Oggi in Russia qualsiasi progetto o iniziativa può essere bloccato nell’interesse dei “veterani del Donbass”, del leader ceceno Ramzan Kadyrov o dell’oligarca putiniano Evgenij Prigožin (fondatore dell’organizzazione paramilitare Gruppo Wagner). L’istruzione è sostituita dalla propaganda e dagli studenti si pretende che facciano il tifo per l’“operazione speciale”.

Perfino la scienza è distrutta: Alek­sandr Sergeev, che presiedeva l’accademia delle scienze russa, ha dovuto abbandonare l’incarico perché aveva cercato di salvare la collaborazione con gli scienziati stranieri. La cultura è divisa tra chi si è dichiarato contro la guerra e ha lasciato la Russia, e chi ha approfittato della situazione per occupare i posti rimasti vuoti. La guerra ha conseguenze catastrofiche anche sotto il profilo demografico: dopo le morti causate dalla pandemia (si è parlato di un milione di persone), con la mobilitazione militare il Cremlino ha praticamente deciso che era ora di sbarazzarsi dei troppi giovani in età lavorativa. Alcuni muoiono al fronte, altri fuggono dal paese attraverso le frontiere rimaste aperte.

Nell’ultimo decennio la Russia era particolarmente fiera del tenore di vita nelle sue città, più alto che nella maggior parte delle ex repubbliche sovietiche (come se questo dipendesse dal lavoro e dal talento, e non dai prezzi del petrolio), e aveva sviluppato una precisa prospettiva coloniale, secondo cui i popoli non russi e non slavi erano considerati inferiori. Putin è riuscito a ribaltare la situazione: oggi qualsiasi stato dell’Asia centrale è diventato per i russi un luogo dove trovare protezione da questa guerra assurda.

Per quanto riguarda i presunti successi militari russi, meglio non parlarne, specialmente in seguito alla liberazione della città di Lyman da parte dell’esercito ucraino, avvenuta il 1 ottobre, esattamente il giorno dopo che Putin aveva proclamato la sua annessione alla Russia in quanto parte della regione di Donetsk.

È chiaro che la mobilitazione non sarà in grado di cambiare gli equilibri al fronte. Gli ucraini, che i loro soldati li hanno già mobilitati, sono in vantaggio. E poi combattono meglio, perché sanno per cosa stanno lottando.

Niente da analizzare

Nella sconfitta si è sempre soli: Kadyrov e Prigožin sono già entrati in conflitto con i generali del ministro della difesa Sergej Šoigu, accusandosi a vicenda di incompetenza. E il ricatto nucleare potrebbe aver esaurito i suoi effetti: esperti russi (Fëdor Lukjanov, Dmitrij Trenin) e leader politici (Dmitrij Medvedev, Putin) hanno più volte minacciato un attacco con armi atomiche. Nessuno, però, si è troppo impressionato né ci sono state ripercussioni sulla disponibilità dell’occidente a rifornire di armi l’esercito ucraino o sulla determinazione militare di Kiev. Se Putin comincerà davvero una guerra nucleare, e le condizioni ormai ci sono tutte, oltre a causare un immenso numero di vittime, avvicinerà senz’altro la sua fine. Nella storia recente nessuno ha inflitto tanti danni alla Russia come Putin. Il 30 settembre il presidente ha imbastito una sorta di rituale magico per fare appello all’amore del popolo. Come nel 2014, quando ci fu l’annessione della Crimea, il rituale era articolato in due parti: una solenne cerimonia al Cremlino per la firma dei documenti per l’annessione, e poi un concerto propagandistico sulla piazza Rossa. Ma non è servito a nulla: mentre Putin teneva la sua predica contro gli “anglosassoni” e la “teoria del gender”, i volti degli alti funzionari russi sembravano tutt’altro che allegri. E in piazza c’erano cittadini portati da autobus organizzati dal governo. Probabilmente i russi hanno cominciato a capire un po’ troppo tardi che la guerra è un crimine, solo dopo essere stati chiamati in causa dalla mobilitazione. Ma non si può tornare indietro: nessuno ama più il presidente, il suo potere è legato a un filo.

E non c’è nessuno che possa dirglielo. Nel corso dei suoi innumerevoli mandati presidenziali Putin si è circondato di un drappello di fedeli autori di discorsi e consulenti d’immagine. All’ottavo mese di guerra, e al ventitreesimo anno del suo catastrofico governo, ha deciso di mostrare alla Russia il suo vero volto, ritenendosi così insostituibile e straordinario da poterselo permettere. Proprio per questo i suoi “discorsi sulla storia” sono impossibili da analizzare: non c’è più nessuna differenza tra quello che dice il presidente e quello che può affermare un semplice partecipante a una trasmissione di propaganda della tv russa. L’attore Ivan Ochlobystin, che incita alla guerra totale sulla piazza Rossa, richiamandosi ai tempi di Ivan il Terribile, è diverso da Putin solo per il tono: è più brillante.

Putin ha concluso il suo discorso con la citazione di un passaggio tratto da un libro del filosofo degli inizi del novecento Ivan Ilin. Ilin non ha alcuna influenza sull’ideologia del putinismo semplicemente perché il governo di Putin è radicalmente anti-intellettuale. Al presidente, tuttavia, consiglierei di leggere, quando avrà più tempo libero, uno dei libri di Ilin: O soprotivlenii zlu siloju (Sulla resistenza alla forza del male), in cui il filosofo contesta il pacifismo di Lev Tolstoj. Quando il male entra in casa tua, scrive, sei costretto a reagire. È questo che oggi c’insegna l’Ucraina. ◆ ab

Novaja Gazeta Europe è un giornale indipendente russo, in esilio in Lettonia.

Da sapere
Ritirata su tutti i fronti
fonti: financial times, liveuamap

◆ Il 5 ottobre 2022 il presidente russo ha firmato la legge che sancisce l’annessione alla Federazione russa delle regioni ucraine di Donetsk, Luhansk, Zaporižžja e Cherson, approvata dal parlamento nei giorni precedenti. Si conclude così il processo avviato con i referendum organizzati dalle forze di occupazione nei territori sotto il controllo russo, che si sono svolti tra il 23 e il 27 settembre e sono stati dichiarati illegali dalle Nazioni Unite.

◆ Lo stesso giorno il presidente ucraino Volodymyr Zelenskyj ha annunciato che le truppe di Kiev hanno sfondato le linee russe nella regione di Cherson, liberando diversi centri abitati sulla sponda occidentale del fiume Dnepr e avanzando per decine di chilometri. Il 1 ottobre l’esercito russo aveva ammesso di essersi ritirato da Lyman, una località d’importanza strategica nella regione di Donetsk. Le truppe ucraine starebbero guadagnando terreno anche sulla sponda orientale del fiume Oskil, minacciando le linee di rifornimento dei russi nella regione di Luhansk.

◆ In risposta all’annessione delle regioni ucraine, i governi dell’Unione europea hanno trovato un accordo sull’ottavo pacchetto di sanzioni contro la Russia. Tra le misure, oltre a nuovi divieti sulle esportazioni di prodotti tecnologici e sull’importazione di merci russe, c’è il tetto al prezzo del petrolio russo auspicato dal G7 all’inizio di settembre, che impedirà alle aziende europee di offrire i loro servizi alle compagnie russe che vendono greggio a un costo superiore alla soglia stabilita. Reuters


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Questo articolo è uscito sul numero 1481 di Internazionale, a pagina 26. Compra questo numero | Abbonati