Devsharan Patel, un agricoltore di 53 anni che vive a Dhatura, un villaggio del Madhya Pradesh, sta andando nel suo campo. Porta sulla spalla uno spruzzatore di insetticida a batteria. Gli agricoltori di solito comprano i pesticidi e i fertilizzanti al mercato, ma Patel ha imparato a prepararli con ingredienti naturali a costo zero. Sulla strada verso la fattoria raccoglie foglie di neem (margosa), kaner (oleandro), btehya (vilucchio turco) e akwan (calotropis). Una volta arrivato, pesta le foglie in un mortaio versandoci sopra dell’acqua. “Non costa nulla. Giusto un po’ di lavoro”, spiega. “Si chiama jivamrit, è veleno per i piccoli bruchi”. Patel ha anche creato un sistema per raccogliere l’acqua piovana in un bacino messo al centro del suo campo. Intorno al bacino pianta pomodori, frumento, legumi e papaya. “Pioggia o siccità, questo campo è pronto a ogni evenienza”, esclama.

Patel è uno dei tanti agricoltori del villaggio che hanno adottato tecniche naturali innovative per adattarsi alla crisi climatica. La tendenza ha preso piede circa cinque anni fa, quando Dhatura è stato selezionato insieme a molti altri villaggi per il progetto Climate smart village, promosso dal governo del Madhya Pradesh. Il progetto coinvolgeva tre distretti – Sehore, Satna e Rajgarh – e si è concluso nel 2022.

Gli obiettivi principali erano insegnare agli agricoltori metodi naturali di coltivazione e ridurre le emissioni di gas serra prodotte dalle loro attività; e inoltre limitare l’impatto del cambiamento climatico con misure come la conservazione del terreno e dell’acqua e l’uso di sementi resistenti alla siccità e alle inondazioni.

Secondo il governo del Madhya Pradesh, i tre distretti sono minacciati e quello di Satna è il più vulnerabile. Si prevede che nello stato ci saranno un aumento delle temperature massime e minime, monsoni improvvisi, precipitazioni più frequenti e più intense, estati più lunghe, più siccità e inondazioni.

Shamit Srivastava, un ricercatore che segue il progetto nel distretto di Satna, dice che i contadini coinvolti hanno ricevuto microfertilizzanti, sementi che producono raccolti anche in condizioni meteorologiche avverse e teli in polietilene per coprire le radici delle piante, diminuire l’evaporazione dell’acqua e ridurne così il consumo. “Grazie a soluzioni come lo scavo di bacini nei campi, la semina diretta della risaia, la coltivazione dei legumi e della soia in piani rialzati e l’uso del compost per concimare invece di bruciare le stoppie, i contadini hanno potuto gestire i capricci del clima”, spiega Srivastava.

Il progetto promuove anche altri metodi tradizionali come la concimazione con il letame e l’urina, che non solo riducono i costi ma migliorano anche la qualità del suolo e dei raccolti. “In tre anni appena il terreno della mia fattoria è cambiato”, spiega Patel. “Ora assorbe più acqua, così posso avere un raccolto anche quando ha piovuto poco”.

È prevista anche la cattura del carbonio nel suolo: migliorando il terreno si accelera la sua capacità di assorbire l’anidride carbonica

Dopo l’inizio di Climate smart village, Sangeeta Lenka, scienziata dell’Indian institute of soil science, ha condotto dei test sul suolo che hanno confermato le osservazioni di Patel: la qualità del terreno è migliorata. Prima era povero di azoto e di zinco e in alcuni villaggi anche di fosforo, zolfo, ferro e manganese.

Costi contenuti

La famiglia di Patel possiede un appezzamento di circa quattro ettari. Lui ha deciso di provare i metodi naturali su una parte del terreno. Spiega che preparare quattromila metri quadrati per coltivarli a frumento con tecniche tradizionali gli costa tra le cinquemila e le settemila rupie (56-78 euro), mentre quando usa fertilizzanti e pesticidi chimici le spese quasi raddoppiano.

Oltre a ottenere prodotti che sono senza dubbio più sani, dice, “la resa è aumentata del 10-20 per cento. I nostri raccolti sono di qualità, se potessimo venderli a un prezzo più alto, potremmo guadagnare nonostante la quantità più contenuta”.

Ramsharan Yadav, un agricoltore di 58 anni di Pakaria, a 35 chilometri da Dhatura, ha adottato metodi di coltivazione naturali tre anni fa. Nei primi due anni la resa è diminuita, ma ora sta crescendo. “Gli agricoltori alla fine spendono un sacco. Se queste tecniche abbassano i costi, saranno minori anche le perdite nel caso che i cambiamenti climatici facessero perdere un raccolto”, dice Yadav. “Ho ricevuto delle sementi che sopportano il caldo e negli ultimi due anni ho avuto una buona produzione di curcuma senza dover usare fertilizzanti e pesticidi”.

Lenka ha rilevato in questi distretti un aumento della resa dei terreni del 30 per cento, in alcuni casi addirittura del 43 per cento. Ma il fatto che non ci sia un mercato adeguato per i prodotti resta un problema per gli agricoltori. “Per ora al mercato locale nessuno può pagare di più”, spiega Patel.

La Environment planning and coordination organization, un ente governativo con sede a Bhopal, ha giocato un ruolo fondamentale nel lanciare il progetto Climate smart villages nel Madhya Pradesh. “Gli agricoltori in genere usano molti fertilizzanti all’azoto, che rilasciano nell’atmosfera protossido di azoto, una sostanza trecento volte più dannosa dell’anidride carbonica per il riscaldamento globale”, spiega Lokendra Thakkar, scienziato che coordina l’ente. Secondo il governo locale, nel Madhya Pradesh l’agricoltura produce il 16-17 per cento delle emissioni di C02. “Gli agricoltori ora conoscono questi dati. Impiegano gli scarti delle colture come concime”, spiega Thakkar.

Il progetto prevede anche la cattura del carbonio nel suolo: migliorando il terreno si accelera la sua capacità di assorbire l’anidride carbonica dall’atmosfera. Dalle sue analisi Lenka ha inoltre scoperto che i campi coltivati senza pesticidi hanno più carbonio organico, un elemento fondamentale.

Con emissioni di anidride carbonica pari a circa 2,6 gigatonnellate all’anno, l’India si colloca al terzo posto nel mondo dopo la Cina e gli Stati Uniti. Il governo di New Delhi si è impegnato a ridurre le emissioni del 50 per cento entro il 2050 e di azzerarle per il 2070. Secondo il rapporto del 2022 del centro studi Niti Aayog, il 20 per cento delle emissioni totali di anidride carbonica dell’India proviene dalle attività agricole. Con le sue 97 tonnellate all’anno (mtpa), il Madhya Pradesh è il quarto stato del paese per emissioni.

Con l’accordo di Parigi sul clima, l’India si è impegnata a creare entro il 2023 un sistema in grado di assorbire tra i 2,5 e i 3 miliardi di tonnellate di CO2 attraverso la riforestazione e l’aumento delle zone coperte da alberi.

Parlando di agricoltura sensibile alla crisi climatica, anche il carbonio immagazzinato nel terreno modificando i metodi di coltivazione ottiene risultati simili. Secondo Lenka è importante che l’anidride carbonica rimanga nel suolo per molto tempo. “Se gli agricoltori abbandonano a metà del percorso i metodi naturali per impiegare le sostanze chimiche, la CO2 sarà rilasciata dal suolo e tornerà nell’atmosfera”, aggiunge.

Gli agricoltori non sono contenti che il Climate smart village sia terminato. “Avevamo appena cominciato a raccoglierne i frutti, doveva continuare ancora per qualche anno”, commenta Patel. Thakkar spiega che si trattava di un progetto pilota e che grazie a quel che si è appreso, si può pensare di lanciare un’iniziativa di più ampio respiro, esteso a tutto lo stato. ◆ gim

Questo articolo è un adattamento dell’originale pubblicato sul sito Mongabay con il titolo “Natural farming methods help the ‘climate-smart’ villages of mp brave climate impacts”.

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Questo articolo è uscito sul numero 1507 di Internazionale, a pagina 28. Compra questo numero | Abbonati