Riguardo le registrazioni del mio viaggio in Italia prima della pandemia. Suoni di baci sulle guance. Saluti con strette di mano forti e decise. Spostamenti con sconosciuti nella stessa auto. Ristoranti in locali dai soffitti alti, con pareti in legno e tavoli occupati fino all’ultima sedia da uomini che masticano rumorosamente. Sono raggruppati per categoria: i vigili del fuoco, le forze dell’ordine, in un angolo gli escavatoristi, nell’altro gli elettricisti. Il brusio è attraversato dalla voce di un paio di donne che non passano inosservate. Tutti erano lì per un motivo: ridare vita a un cumulo di macerie che un tempo erano dei paesi. Quando la terra ha tremato, sono diventati toponimi astratti: Amatrice e Accumoli. I cacciatori sulle montagne hanno capito subito che era “una di quelle scosse che avrebbe causato dei morti”. La terra si era svegliata dal letargo.
“Cosa vi porto? Una gricia?”, chiede la cameriera del ristorante La vecchia ruota, sulla Salaria, nei pressi di Accumoli.
Annuiamo. Pasta con pecorino, pepe nero e guanciale non affumicato. Un piatto che si fa risalire addirittura ai tempi dell’antica Roma e che ha fatto da base per il successivo sugo all’amatriciana e alla carbonara. Secondo alcuni, il nome gricia deriva dai mastri fornai greci in servizio nell’impero romano. Si narra che non si allontanassero mai dalle loro botteghe e avessero bisogno di cibo semplice e solido per placare la fame tra un’infornata e l’altra. Non si sa se questa storia sia vera, ma la ristorazione è un’attività che molte persone di Accumoli e Amatrice scelgono da generazioni. Molti cuochi e proprietari di locali a Roma sono originari di questa zona dell’Italia centrale, dove le montagne sono alte e appuntite come piramidi. Si crede che un tempo qui vivessero gli dei.
Insomma, non si muore certo di fame nella provincia di Rieti, dove hanno mosso i primi passi tanti professionisti della cucina, ma il terremoto dell’agosto 2016 e le successive scosse in autunno e all’inizio del 2017 hanno lasciato integre poche strutture in muratura in paesi come Accumoli e Amatrice. E anche se sono passati quasi quattro anni, la ricostruzione non è ancora cominciata.
Sono tornato ad Accumoli e Amatrice per capire perché le cose vadano sempre così a rilento in un paese che più di tanti altri in Europa è costantemente colpito dalle catastrofi naturali. Se non è un terremoto è un’eruzione vulcanica, oppure frane, inondazioni, incendi boschivi e valanghe o tragedie la cui responsabilità ricade direttamente sugli esseri umani, come i ponti che all’improvviso si sbriciolano. L’ultima volta è successo a Genova, ma dato che erano in gioco l’onore della nazione, l’economia e l’infrastruttura di una grande città, il nuovo ponte è stato costruito in tempi rapidi e sarà inaugurato a breve.
Scaricare le responsabilità
Ad Amatrice, invece, sono state solo portate via le macerie. La piana, in passato abitata da un migliaio di persone, ora è quasi deserta. La strada principale attraversa una cittadina che non esiste più, tranne che su Google street view, dove la vita va avanti come se nulla fosse successo e dove alcuni dei corpi sfocati che si vedono nelle immagini potrebbero appartenere a persone morte durante il terremoto.
Lì una volta c’erano il commissariato, la chiesa, una scuola e il ritrovo dell’orchestra
Alla vicina Accumoli, a mezz’ora d’auto, è andata molto meglio in termini di vite umane, ma il paese è stato colpito con altrettanta violenza, anche se molte case sono rimaste in piedi. Mentre la ricostruzione va per le lunghe, gli abitanti sono stati sistemati in moduli abitativi temporanei, altri invece hanno scelto di andarsene, alcuni per trasferirsi da parenti a Roma, altri invece per non tornare più.
I negozi hanno riaperto in nuovi centri commerciali provvisori lungo la strada principale. Se qualcuno chiede ai titolari quando pensano che le cose cambieranno, loro alzano lo sguardo e le mani verso il cielo. Si dice che il problema sia la burocrazia. La grande massa melmosa, tipicamente italiana, che ingloba tutto in un paralizzante limbo di incertezza. Molti pensano che è colpa della burocrazia se anche la crisi sanitaria innescata dal nuovo coronavirus si è abbattuta così duramente sull’Italia.
Le persone hanno sempre paura di prendere decisioni di cui potrebbero essere ritenute responsabili, e nel groviglio di richieste, amministrazioni pubbliche, leggi e regolamenti, nessuno è in grado di accertare le responsabilità perché si cerca di fare il meno possibile o di scaricarle sugli altri.
Il presidente del consiglio Giuseppe Conte ha appena annunciato un nuovo piano per una ripresa, per superare la recessione innescata dalla pandemia, usando al meglio i fondi europei quando arriveranno. Ma quando Conte nel suo discorso in parlamento ha detto: “È l’ora di dare prova di coesione, anche sul piano nazionale”, l’opposizione ha abbandonato l’aula. La mancanza di unità politica tuttavia non è nulla in confronto alla burocrazia che, come l’amore biblico, sopravvive a tutto, sopporta tutto e resiste a tutto.
Una cosa relativamente semplice come ottenere il permesso di visitare le macerie di Accumoli si rivela un’impresa piuttosto complicata. Quando arriviamo davanti alla fila di container che ospitano gli uffici comunali per fare la richiesta, scopriamo che il sindaco è fuori per una riunione e che gli altri funzionari, che in sua assenza potrebbero concederci l’autorizzazione, hanno deciso di passarsi la patata bollente.
Unici sopravvissuti
Fanno una fotocopia dei nostri passaporti e ci fanno compilare una domanda con il modulo Zr (zona rossa) procedura Dicomac (Direzione di comando e controllo) ai sensi della circolare del 2 marzo 2017, che poi viene timbrata e protocollata. Dopo aver rubato anche troppo tempo ai vigili del fuoco e al comandante della polizia municipale – che ci racconta le vicende della sua famiglia, l’unica sopravvissuta al terremoto in tutta la via dove abitavano – arriva il vicesindaco che, con mano esitante, firma il documento e mette un altro timbro. Ce ne andiamo in fretta prima che qualcuno cambi idea.
“Accumoli è un paese che si è già lasciato il futuro alle spalle”, ci spiega il nostro accompagnatore, Giovanni Funari, 69 anni, che nella vita ha fatto il contadino e l’autista. Mentre percorriamo la strada che risale la montagna fino alle macerie di Accumoli, ci racconta che il paese fu fondato sulla via Salaria, l’antica via consolare romana. Nel medioevo Accumoli riuscì a sottomettere tutti i centri vicini, grazie all’abilità degli abitanti nella lancia e nella spada. Ma quando la via Salaria fu spostata a fondovalle, cominciò il declino, e alla fine, in paese, erano rimasti solo gli anziani.
“In realtà prima del terremoto il paese era già morto”, sostiene Funari.
I posti di blocco attorno ad Accumoli sono sorvegliati dall’esercito. I militari, dopo aver esaminato attentamente i documenti, ci fanno segno di passare. La sottile strada di asfalto piena di crepe termina in una piazzetta circondata da nastri di delimitazione arancioni. Dietro ai nastri c’è un mucchio di macerie. La maggior parte delle case è stata demolita e i detriti sono stati portati via, ai nostri occhi si presentano solo i resti di edifici che forse potranno essere recuperati o che si sono salvati dalla demolizione perché hanno un valore storico e culturale.
“Casa mia era lassù, dietro il pino. Tutta la parte superiore del paese è stata demolita perché le case erano troppo danneggiate”, spiega Funari. Il terremoto è arrivato di notte nell’agosto di quattro anni fa, come un ladro. La moglie di Funari dormiva al terzo piano, lui al quarto. La scossa è stata talmente forte da impedirgli di alzarsi e scappare. All’improvviso è crollato il muro esterno. Fortunatamente non era portante, ma i letti erano così vicini al muro che stavano per essere trascinati nel vuoto. Si sono salvati, ma sua moglie non vuole più abitare in una casa a più piani. Arriviamo fin dove ci è permesso, mentre Funari indica delle rovine e ci spiega che lì una volta c’erano il commissariato, la chiesa, una scuola e il luogo di ritrovo dell’orchestra del paese, di cui faceva parte.
Sapersi muovere
Quando gli chiedo della ricostruzione, scoppia in una risata sarcastica. “Non è ancora partito nulla. Sulla carta è tutto a posto, i contributi concessi dallo stato sono arrivati, ma per ora è stata completata una sola casa appena fuori del paese. D’altra parte il proprietario è uno che sa come muoversi”.
Alla domanda su cosa intende per “sa come muoversi”, risponde: “Conosce le persone giuste, sa come avere accesso agli uffici giusti, e così via”. A questo vanno aggiunti tutti gli ostacoli che complicano una ricostruzione. Per le case che sono addossate una all’altra i proprietari devono trovare un accordo su un progetto che non può essere troppo diverso da quello originario. Ma spesso non ci sono disegni o fotografie su cui basarsi, perché si tratta di edifici centenari. In una cittadina vicino ad Amatrice il sisma ha distrutto tutto l’archivio comunale.
Alcuni proprietari non vogliono ricostruire nello stesso punto e preferiscono farsi assegnare dal comune un lotto edificabile in un’area più sicura. Ma molti lotti non sono ancora tracciati o non sono ancora state realizzate le opere di urbanizzazione. Nessuno sa quando si faranno. Alcune case sono state ereditate da persone che vivono lontano e che non rispondono mai.
La moglie di Funari non vuole tornare nella vecchia casa, quindi la coppia ha deciso di costruire una casa nuova altrove. I figli, invece, vorrebbero restare in paese. “A volte tutta questa incertezza è peggio del terremoto. Dopo un po’ la scossa finisce, ma poi i suoi effetti si trascinano all’infinito”, dice Funari.
Il problema è che in Italia manca una legge quadro per la ricostruzione, non ci sono linee guida da seguire quando la polvere si è assestata. Eppure nessun altro paese europeo come l’Italia, negli ultimi cento anni, è stato così colpito dai terremoti ed è probabile che lo sarà ancora. Nel 1908 ci furono più di centomila morti in Sicilia e in Calabria. Nel 1915 in Abruzzo i morti furono trentamila. Nel 1917 ci furono venti morti in Umbria e Toscana. Nel 1920 ci furono 171 morti in Toscana. Nel 1930 più di 1.400 morti in Campania. Nel 1968 ci furono 231 morti in Sicilia. Nel 1971 nel Lazio i morti furono 31. Nel 1976 ci furono quasi mille morti in Friuli. Nel 1980 in Irpinia i morti furono 2.914. Nel 2002 ci furono trenta morti in Molise e in Puglia. Nel 2009 all’Aquila i morti furono 309. Nel 2012 in Emilia-Romagna ci furono più di venti morti. Poi ci sono tutti i terremoti di minore entità che hanno provocato meno di dieci vittime.
◆ L’Associazione nazionale costruttori edili (Ance) è stata ascoltata il 4 novembre 2019 dalla commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della camera dei deputati sulla ricostruzione dopo il terremoto del 2016. “A oltre tre anni dal primo sisma che ha devastato il centro Italia”, ha scritto l’Ance nel documento presentato in commissione, “la ricostruzione stenta a decollare, come testimoniato dagli ultimi dati diffusi dal commissario straordinario. A fronte di 80mila domande attese per la ricostruzione privata, al 31 maggio 2019 solo il 12 per cento degli aventi diritto ha presentato domanda di contributo. Peraltro, il 65 per cento delle domande di contributo è ancora in fase istruttoria. Ritardi si registrano anche per la ricostruzione pubblica, per la quale sono stati programmati circa 2.300 interventi per quasi 2,2 miliardi di euro. A fine maggio 2019 risultavano erogati solo 41 milioni di euro per l’avvio della fase di progettazione”. Secondo Legambiente, “nonostante la sovrabbondanza di decreti e ordinanze, alcuni sacrosanti altri contraddittori o fatti per sanare situazioni alla meno peggio, il quadro normativo è ancora insufficiente. Siamo caduti in un circolo vizioso: la ricostruzione fa fatica a partire, i progetti presentati sono pochi, quindi si concedono le proroghe – dell’emergenza, dei termini di presentazione delle domande di contributo – che non fanno che alimentare la richiesta e l’attesa di un’altra proroga o di un altro intervento normativo”.
Sono centinaia di migliaia gli edifici danneggiati, e ogni volta si arranca con regole decise ad hoc o con leggi speciali. Chiedo a Renzo Colucci, presidente del comitato civico Radici accumolesi, come mai le cose stanno così. “Dipende dai grandi problemi della politica italiana. I nostri politici preferiscono agire le iniziative a breve termine, che fanno rastrellare voti, invece di ragionare e investire sul lungo periodo, e rischiare di non poter raccogliere i frutti della buona programmazione. Da tempo c’è bisogno di fare una nuova mappa della situazione geofisica dalle Alpi alla Sicilia. Tutta la catena appenninica è un’area sismica ed è importante sapere quali sono le zone più a rischio. Non è ancora stato fatto perché è un lavoro costoso e nessun politico ora guadagnerebbe voti stanziando questi soldi. Bisognerebbe anche promuovere l’adeguamento antisismico per le costruzioni esistenti, ma in una politica che non guarda al futuro non interessa a nessuno”, aggiunge Colucci.
Mi viene in mente un’anziana che incontrai negli anni novanta in una delle baracche di legno costruite per alloggiare temporaneamente gli abitanti dopo il terremoto del 1908. Abitava ancora lì ed era sicura che ci sarebbe morta. Nemmeno lei o i suoi vicini avevano una grande considerazione dei politici: “Ogni volta che buttano fuori due ladroni dal parlamento, ne entrano altri quattro”.
Funari ci mostra i nuovi alloggi temporanei a un solo piano, costruiti in file ordinate sulla piana nei pressi di Accumoli. Sono state trasferite qui anche le statue dei cittadini illustri, tra cui Salvatore Tommasi, uno dei padri dell’Italia unita. La moglie di Funari abita qui, mentre lui preferisce la casa di famiglia in campagna, dove tiene le pecore e altri animali domestici.
Attraversiamo il cimitero, dove molte tombe si sono aperte a causa delle scosse. Gli suggerisco che, avendo quasi settant’anni, conoscerà tanti dei volti sulle lapidi. Mi indica la foto di un’anziana vestita di nero. “Sì, lei la conoscevo. Da bambino giocavo spesso con suo figlio, eravamo coetanei. A casa loro era tutto ammuffito. Era una donna un po’ strana. Se facevamo troppo rumore, sollevava la gonna, s’infilava un dito nell’inguine e poi voleva mettercelo in bocca. Ce la davamo a gambe levate”.
Da queste parti va così. La schiettezza e le storie curiose non mancano mai. Alcune volte si ritrovano addirittura in versi, nei graffiti sulla piazza del paese, come mi è capitato di vedere alcuni anni fa a Castelluccio di Norcia, un paese ancora più in alto. Anche lì sono pochi gli edifici rimasti intatti. È come se queste persone, sempre impegnate a lottare per sopravvivere in condizioni naturali difficili, non avessero tempo da perdere con le inibizioni. Con questa immagine, il mio accompagnatore e io andiamo a pranzo alla Vecchia ruota. Ci sediamo uno accanto all’altro e divoriamo la nostra gricia, seguita dalle costolette di agnello. Anche noi in Danimarca durante il lockdown nelle nostre case ci siamo seduti uno accanto all’altro, magari guardando la strada dalla finestra della cucina, come in attesa che succedesse qualcosa, che tutto finalmente passasse.
Il giorno seguente ci aspetta Amatrice, che come Accumoli non esiste più. È qui che viveva la maggioranza delle trecento vittime del terremoto. È rimasta in piedi solo una torre lungo la strada principale e non è ancora cominciato il recupero del centro storico, anche se secondo i piani tutto sarà ricostruito dove e come era prima. Questo obiettivo è stato raggiunto, almeno in parte, all’Aquila, a un’ora d’auto da qui, ma ci sono voluti undici anni e i lavori di ricostruzione sono tutt’altro che completati.
Delle persone molto pazienti mi spiegano quali sono gli ostacoli tecnici e amministrativi, ce n’è un numero sufficiente a riempire i tanti gironi dell’inferno. Ci vorrebbe una classe politica di persone mature e responsabili per rimettere in piedi Amatrice. Purtroppo la classe politica di oggi non è più quella di una volta, dice il fotografo e giornalista locale Marzio Mozzetti. E com’era una volta? “Ho quarant’anni, quindi non ho esperienze dirette, ma secondo me in passato chi faceva politica conosceva meglio la materia di cui si occupava. I partiti erano anche luoghi dove s’imparava, dove si formavano i leader. Oggi troppi politici non sanno bene cosa fare del potere che devono gestire”, dice. In quell’agosto del 2016, quando le scosse sono finite, Mozzetti si è precipitato in strada indossando solo scarpe e mutande. La porta di casa era storta ed è riuscito ad aprirla con l’aiuto di un passante. In una casa poco distante sua zia è morta schiacciata dai mattoni. Sua madre si è salvata perché all’ultimo momento aveva deciso di restare nel paese in montagna. I sopravvissuti si sono riuniti in una casa di cemento armato che aveva resistito alle scosse. Mozzetti è rimasto con gli anziani fino all’alba, quando sono arrivati i soccorsi. Nei giorni seguenti non ha fatto fotografie, e non è ancora riuscito a esprimere le sue emozioni. “Vorrei raccontare la storia delle vittime, perché le conoscevo quasi tutte. Ma non ci riesco. Non è scomparso solo un paese, ma anche buona parte dei suoi abitanti. Stiamo ancora elaborando il lutto”. ◆ lv
Internazionale pubblica ogni settimana una pagina di lettere. Ci piacerebbe sapere cosa pensi di questo articolo. Scrivici a: posta@internazionale.it
Questo articolo è uscito sul numero 1366 di Internazionale, a pagina 34. Compra questo numero | Abbonati