I paesi baltici si sono liberati dell’occupazione sovietica nel 1991, ma oggi, con la guerra in Ucraina, stanno vivendo una continuazione di quel processo storico. Le vie sono “derussificate”, le scuole rinominate e presto in Lettonia ed Estonia non ci saranno più lezioni in russo. Ci si chiede se, ai tempi della guerra di Putin, sia il caso di andare a vedere Lo schiaccianoci. E intanto il canale tv dell’opposizione russa Dožd (Pioggia) ha dovuto lasciare Riga.

Al pastore Pavel Levuškan piacciono le provocazioni. Emigrato dalla Federazione russa, è un avversario di Putin, e suo figlio è attivo nel partito liberale lettone. Durante le feste natalizie, Levuškan ha pubblicato su Facebook il programma del teatro dell’opera e del balletto di Riga.

Nonostante la guerra, ha scritto, in Lettonia quest’anno sarà ancora possibile vedere Il lago dei cigni e Lo schiaccianoci di Pëtr Čajkovskij, Romeo e Giulietta di Sergej Prokofiev e La fontana di Bachčisaraj di Boris Asafiev.

Era Natale e il post del pastore è stato poco commentato. In un altro momento, i social network lettoni sarebbero diventati incandescenti.

Beata Surgoft, la cui famiglia ha origini polacche ma vive in Lettonia da generazioni, ha sentimenti contrastanti sulla cultura russa: “Forse andrei a vedere Il lago dei cigni. A Riga abbiamo il teatro russo Michail Čechov e il suo livello artistico è alto. Ma non oggi, c’è la guerra”, scrive. Il balletto di Čajkovskij ha un doppio significato in Lettonia. Non è solo l’opera eccezionale di un grande musicista russo, è anche un simbolo della fine dell’Unione Sovietica: “Mentre l’Urss crollava, la tv sovietica trasmetteva Il lago dei cigni e poco altro. Ecco perché per noi è uno spettacolo così ambiguo”, spiega Surgoft.

Il canto del cigno

Nella vicina Lituania, paradossalmente, i toni sono un po’ più duri. E questo a dispetto del fatto che, a differenza di Riga e Tallinn, il governo di Vilnius segua da anni una politica molto più liberale nei confronti dei russi.

All’inizio dell’invasione il teatro nazionale lituano dell’opera e del balletto ha rimosso le opere di Čajkovskij dal repertorio, ma poi le ha recuperate. “Finché i russi insistono nel voler distruggere l’Ucraina e la sua cultura, la nostra risposta è evitare le opere russe”, ha dichiarato in un primo momento il ministro della cultura lituano Simonas Kairys. In seguito si è probabilmente spaventato per le sue stesse parole, perché quando gli hanno chiesto quale ruolo dovrebbe avere la cultura russa in Lituania, ha risposto in modo evasivo: “Questa non è una domanda importante, ciò che conta è il sostegno all’Ucraina”.

In Lituania, la derussificazione sta coinvolgendo la società in modo crescente. Da un lato, si assiste alla rimozione dei monumenti dell’armata rossa, com’è successo di recente al cimitero Antokol, a Vilnius. Dall’altro si cambiano i nomi di luoghi e istituzioni: il liceo Puškin di Kaunas è diventato Liceo internazionale, la scuola Gorkij a Klaipėda si chiama scuola portuale e il Teatro drammatico russo, nella prebellica via Wielka Pohulanka, in seguito all’invasione russa è stato trasformato in un anonimo Teatro vecchio di Vilnius. Davanti a questo edificio sarà eretto un monumento ad Antanas Smetona, dittatore in Lituania prima dell’occupazione russa.

Una donna che vive in Lettonia e che ha chiesto di non pubblicare il suo nome dice: “Per me, che sono per metà russa e sono ortodossa, è difficile definire cosa provo, se vergogna o paura. I putiniani si sono appropriati del concetto stesso di ‘russità’. Ora devo rimettermi insieme come si fa con un puzzle. Certo, non è niente in confronto a quello che sta passando chi vive la guerra sulla propria pelle”. Chissà cosa ne pensa del recente scandalo con il canale televisivo Dožd.

Riga, Lettonia, febbraio 2023 (Andrey Rudakov, Bloomberg/Getty)

In teoria l’emittente dovrebbe avere successo. In Lettonia i mezzi d’informazione che si sono trasferiti dalla Federazione russa operano felicemente da tempo. Si pensi al sito Meduza, attivo a Riga dal 2014, o alla Novaja Gazeta Europe, fondata dai giornalisti del periodico russo Novaja Gazeta che hanno lasciato il loro paese dopo l’invasione.

Molti lettoni, quelli più liberali, riponevano non poche speranza sulla comparsa di mezzi d’informazione russi in Lettonia. Purché fossero di opposizione, ovvero non allineati alla politica di Putin, come succede con molti di quelli locali rivolti alla minoranza russa.

Né Putin né i suoi oppositori

Aleksej Grigorjevs, critico letterario, giornalista e politico, componente del Consiglio supremo della Lettonia tra il 1990 e il 1993 e sostenitore dell’indipendenza del paese dall’Unione Sovietica, per anni si è occupato delle questioni tra Russia e Ucraina. Lui stesso ha origini per metà slave. “Su Dožd ho sentimenti contrastanti”, dice sottolineando che il canale televisivo ha commesso tutti gli errori possibili. Non ha neppure provato a empatizzare con la situazione lituana, anzi ha trattato il paese con arroganza imperiale. “Hanno cominciato a spiegarci come dovremmo comportarci con i monumenti sovietici. C’è stato un abuso di ospitalità e le autorità avevano tutte le ragioni per ritirargli la concessione”, sostiene Grigorjevs.

Però per persone come Grigorjevs la partenza dalla Lettonia di Dožd, che continuerà a trasmettere dai Paesi Bassi, è il segno di un’occasione mancata.

“Sono stati invitati in Lettonia come canale inequivocabilmente ostile a Putin. Ma sono imperialisti, del resto si sono mai visti dei russi che non lo siano? In Lettonia l’idea era usare Dožd come strumento per influenzare la Russia di Putin. È un’opportunità persa”, sostiene l’ex deputato.

La domanda è: queste possibilità esistevano realmente? Ci sono specialisti e istituzioni in Lettonia che avrebbero potuto sfruttarle? “Temo di no. Per questo, considerata la prospettiva lettone, la chiusura dell’emittente è un fallimento”, riconosce Grigorjevs. Non lo dice espressamente, ma in tutto questo c’è anche la paura dello slogan dei nazionalisti lettoni: “Non vogliamo mezzi d’informazione russi in Lettonia, neppure quelli degli oppositori di Putin”.

Questo è diventato evidente dopo il 2014, quando l’Estonia ha aperto il canale russo Etv+ per i suoi cittadini russi, mentre la Lettonia a oggi non ha ancora imparato la lezione.

Giusto per ricordare: l’emittente televisiva Dožd, che trasmetteva nella Federazione russa da dodici anni, aveva cominciato a farlo in Lettonia nel luglio 2022. L’8 dicembre 2022 il consiglio nazionale dei mezzi d’informazione digitali della Lettonia ha deciso di ritirare la concessione a Dožd. Il motivo addotto è stato quello di una “minaccia alla sicurezza nazionale e all’ordine pubblico”.

In Lituania i circa mille insegnanti di russo dovranno forse cambiare lavoro

Nel frattempo, la tv ha commesso i diversi errori a cui accennava Grigorjevs. Molti lettoni ricordano l’arrogante giornalista che ha condotto un’intervista al sindaco di Riga, Mārtiņš Staķis, accusato di avere ordinato la demolizione del monumento alla vittoria nella capitale (anche se, curiosamente, lo stesso sindaco non si è mai lamentato dei toni dell’intervista). L’emittente russa ha mostrato più volte la mappa della Federazione russa con la Crimea annessa. Ha inoltre ignorato le consuetudini che presuppongono che la comunicazione con le autorità lettoni avvenga in lettone.

Tuttavia, il vero shock è stato il programma di Aleksej Korostelev, in cui il giornalista ha invitato i russi a denunciare le difficoltà dei soldati russi durante la mobilitazione. “Tornate a Mosca”, hanno cominciato a dire anche i politici lettoni più liberali.

Secondo il giornalista Artem Filatov, che ha lasciato la Russia dopo l’invasione e ha vissuto a Riga per mesi, l’emittente avrebbe potuto rimanere più a lungo in Lettonia. “Penso che la situazione sia il risultato di un grave malinteso tra Dožd e le autorità lettoni. È l’unico canale russo indipendente che da anni racconta la verità al pubblico, è di gran lunga una delle maggiori fonti d’informazione sulla guerra in Ucraina in russo e, cosa di fondamentale importanza, racconta le conseguenze che la guerra ha per la popolazione russa”.

Filatov ritiene che il caso Dožd costutuirà un precedente per i mezzi d’informazione russi che stanno all’estero. Eppure considera ancora la Lettonia un buon posto per chi vuole fare giornalismo indipendente. “Va ricordato che questo paese ha assicurato l’opportunità di continuare a esercitare in sicurezza il proprio lavoro a centinaia di giornalisti e decine di redazioni in fuga dalla Russia. Questo è molto importante in una situazione di guerra e di repressione. C’è il buon esempio della Novaja Gazeta, che si è trasferita a Riga e ha anche pubblicato alcuni numeri in lettone”, dice Filatov.

Nel frattempo, alcuni lettoni non vogliono proprio saperne né della “televisione imperialista, di pseudo-opposizione”, né della cultura russa.

A metà dicembre il consiglio comunale di Riga – con i voti della coalizione di governo, dal partito progressista di sinistra fino ai nazionalisti – ha cambiato i nomi di quattro vie, tra cui quella dedicata a Mstislav Keldyš, professore dell’università statale di Mosca e uno dei creatori del programma atomico sovietico, così come quello della via Vecchia Russia. Quest’ultima prenderà il nome di Hugo Celmiņš, primo ministro della Lettonia prima della seconda guerra mondiale e successivamente sindaco di Riga.

Alcuni vorrebbero spingersi oltre e derussificare via Mosca, così come il Maskavas forštate (quartiere moscovita), in cui durante la seconda guerra mondiale c’era il ghetto ebraico. Il problema è che si tratta di una delle vie più lunghe della città, con moltissimi indirizzi. Gatis Liepiņš, deputato del partito di centrodestra Nuova unità, alla domanda se questo sarà il prossimo passo del consiglio comunale di Riga ha risposto che prima sarebbe opportuno fare dei sondaggi, ma che il nome di una parte della strada potrebbe anche essere cambiato, in particolare il tratto che attraversa il centro storico della città.

Verso l’Europa

“Sensazionale, la lingua polacca nelle scuole lituane”, questo titolone è stato pubblicato più di dieci anni fa sul Kurier Wileński, giornale lituano in lingua polacca. A breve di titoli così potrebbero essercene di più. Alla fine di dicembre il ministero dell’istruzione lituano, guidato dalla conservatrice Jurgita Šiugždinienė, ha lanciato un’idea per scalzare il russo come seconda lingua straniera nelle scuole (l’inglese, da anni, è la prima).

E i quasi mille insegnanti di russo del paese potrebbero essere costretti a cambiare lavoro o comunque a ripensare in qualche modo alle loro qualifiche.

L’idea è far diminuire la popolarità della lingua di Puškin dal 70 al 30 per cento entro cinque anni e concentrarsi su altre lingue come il polacco stesso o magari il lettone.

Del resto anche i lettoni stanno pensando di fare qualche modifica. Il ministero dell’istruzione e della scienza del paese vorrebbe che dal 2026 solo le lingue ufficiali dell’Unione europea potessero essere insegnate nelle scuole pubbliche. “Questa è una grande opportunità per i maltesi”, ironizzano i russi su internet, sottolineando che la Lettonia è sempre stata vicina alla Russia, che la minoranza russa costituiva una percentuale significativa della popolazione lettone ancora prima della guerra e che vietare il russo nelle scuole, così come Il lago dei cigni, sia un’idea sostanzialmente stupida. Cosa accadrà se alla fine il regime di Putin dovesse crollare?

I politici a Riga non ci stanno ancora pensando, ma già circolano diverse idee per rendere popolare la cultura ucraina. “Penso che da ora in poi ci sarà meno cultura russa, sostituita non da un’altra, ma da una maggiore multiculturalità”, dice Aleksejs Grigorjevs.

Si tratta di un ritorno al periodo precedente alla seconda guerra mondiale e all’occupazione russa, quando per le strade di Riga si sentiva parlare russo, ma anche polacco, bielorusso, lituano, tedesco e yiddish?

“Non sogno un salto nel passato, però vorrei che si guardasse avanti. Mi sembra che oggi in Lettonia la seconda lingua dovrebbe essere l’inglese, non il russo o il tedesco. Vorrei che fossero presenti altre lingue e culture, sia delle minoranze sia della vicina Scandinavia”, dice Grigorjevs, che non si dichiara tuttavia contrario al tedesco.

Del resto anche il tedesco fa parte della storia dei paesi baltici e i lituani sono tornati a familiarizzare con quella lingua. Nel repertorio del teatro nazionale lituano dell’opera e del balletto, Lo schiaccianoci è stato sostituito con il balletto per bambini Gli occhi incantati, basato sulla musica di Wolfgang Amadeus Mozart e con i testi di E.T.A. Hoffmann. Sogniamo la mappa dell’Europa, forse ci risveglieremo in un mondo senza la Russia, scherzano i lituani. ◆ dp

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Questo articolo è uscito sul numero 1505 di Internazionale, a pagina 84. Compra questo numero | Abbonati