05 agosto 2015 14:44
Una delle tante manifestazioni organizzate a favore del diritto all’aborto terapeutico. Santiago del Cile, 25 luglio 2013. (Corbis/Contrasto)

Il parlamento cileno ha fatto il primo passo verso la depenalizzazione dell’aborto. Dopo aver ascoltato medici, psicologi, associazioni a favore e contro, la commissione salute della camera dei deputati ha approvato con otto voti contro cinque una mozione che autorizza il parlamento a legiferare sul tema. Le due aule di camera e senato cominceranno quindi a votare un progetto di legge presentato in gennaio dal governo della presidente socialista Michelle Bachelet, che consente l’aborto in tre casi: quando è in pericolo la vita della madre, quando il feto è malformato e quando la gravidanza è frutto di una violenza sessuale.

Perché il testo diventi legge dello stato, deve essere approvato dalla maggioranza semplice dei deputati e poi dei senatori. Nel suo iter di approvazione potrà essere emendato e dovrà superare la forte contrarietà dei partiti cattolici e conservatori. Il voto della commissione salute è quindi davvero solo il primo passo, ma per il Cile si tratta di un progresso storico.

Il fatto che la legge lo vieti, non evita che le donne cilene abortiscano

Il diritto all’interruzione terapeutica della gravidanza (cioè nei tre casi descritti sopra) esisteva in Cile dal 1931. Nel settembre del 1989, sei mesi prima che finisse la dittatura di Augusto Pinochet, il regime stabilì che: “non si potrà eseguire nessuna azione il cui fine sia quello di provocare un aborto”.

Da allora, l’aborto è proibito e non c’è motivazione terapeutica che consenta di praticarlo legalmente. Nessun governo successivo, in 25 anni di democrazia, ha voluto o è riuscito a cambiare la norma. Il Cile, uno dei paesi più dinamici dell’America Latina, si trova nella situazione del Nicaragua, della Repubblica Dominicana, di El Salvador e dell’Honduras.

Bachelet aveva promesso nell’ultima campagna elettorale che avrebbe abrogato il divieto assoluto di interruzione di gravidanza. La delicata situazione economica e alcuni scandali di corruzione che ha dovuto affrontare una volta tornata al governo nel 2014 hanno rallentato i suoi progetti su questo argomento, che sta cercando di portare avanti in un momento di basso consenso da parte dei cileni (circa il 26 per cento secondo i sondaggi).

Il partito socialista della presidente ha la maggioranza in parlamento, ma la depenalizzazione dell’aborto ha molti critici, dentro e fuori dell’aula, che non danno certezza sull’esito del voto: la chiesa soprattutto, poi esponenti della Democrazia cristiana e di gruppi di destra e antiabortisti che considerano il progetto di legge anticostituzionale perché non garantisce il diritto alla vita del feto. È probabile quindi che la corte costituzionale debba esprimersi prima di procedere al voto parlamentare.

Il progetto di legge del governo, invece gode di un ampio appoggio tra la popolazione. L’indagine Plaza Pública–Cadem del luglio di quest’anno ha registrato che il 74 per cento dei cileni appoggia l’aborto se è in pericolo la vita della madre, il 72 per cento quando la donna è rimasta incinta durante una violenza e il 72 per cento lo approva se esiste un’alta probabilità che il feto non sopravviva.

Per questo, il voto preliminare di ieri in commissione era molto atteso dalle associazioni di donne che si battono per il diritto di poter scegliere se interrompere la gravidanza in caso di problemi medici (della madre o del feto) e di violenza sessuale. Per esempio, Miles, una delle maggiori organizzazioni non governative impegnate sul tema, ha seguito la sessione minuto per minuto.

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Il fatto che la legge lo vieti, non evita che le donne cilene abortiscano. Solo, lo fanno in modo clandestino e in condizioni poco sicure. Nel paese si praticano circa 70mila aborti illegali all’anno, secondo il rapporto sui diritti umani che l’università Diego Portales di Santiago ha preparato nel 2013, ultima indagine sul tema.

L’attenzione è stata riaccesa dalle campagne della stessa organizzazione non governativa Miles #leyabortoterapeutico e #aborto3causales. La serie di video che le attiviste di Miles hanno caricato su YouTube hanno ottenuto molte visualizzazioni. Si concentravano sulla pericolosità degli aborti clandestini e sulla libertà di scelta che lo stato dovrebbe garantire a ogni donna.

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