10 novembre 2015 20:12

Chi volesse farsi un’idea di cosa sia il giornalismo d’inchiesta in un paese autoritario, può leggere l’articolo di Hossam Bahgat, pubblicato in arabo e poi tradotto in inglese dal giornale indipendente egiziano Mada Masr. L’articolo parla di un processo segreto a 26 ufficiali dell’esercito, accusati di aver complottato insieme a due importanti esponenti dei Fratelli musulmani per rovesciare l’attuale governo egiziano. Nella sua inchiesta Bahgat ha raccolto numerose testimonianze di famiglie e di amici degli imputati, e ha provato a incrociare le fonti e a contattare le autorità per confermare le dichiarazioni raccolte. Inoltre ha cercato di rintracciare, in giro per la città e sui social network, gli ufficiali imputati, per la maggior parte scomparsi. Si tratta chiaramente di un’indagine seria, un articolo che porta alla luce una storia non ancora resa nota, con l’eccezione di un lancio sulla Bbc in arabo.

Il giornalista che ha fatto questa inchiesta è stato invece imprigionato per tre giorni con l’accusa, formulata dalla procura militare egiziana, di “pubblicazione di notizie false che danneggiano gli interessi nazionali e diffusione di informazioni che disturbano la quiete pubblica”.

Mentre Bahgat non era rintracciabile, il presidente Abdel Fattah al Sisi rilasciava alla Cnn questa dichiarazione, riportata dal giornale governativo Al Ahram:

Non vorrei esagerare, ma in Egitto godiamo di una libertà di espressione mai vista prima d’ora. Nessuno può impedire a un giornalista di esprimere la propria opinione sulla carta stampata o in televisione

Hossam Bahgat, 37 anni, è oggi uno dei più importanti difensori dei diritti umani in Egitto. Nel 2002 ha fondato l’Egyptian initiative for personal rights (Eipr), di cui è rimasto direttore esecutivo fino al 2013. L’Eipr è stata l’organizzazione egiziana in difesa dei diritti umani più coraggiosa durante l’ultimo decennio della presidenza Mubarak, un’epoca caratterizzata da una forte repressione.

La comunità internazionale si è mobilitata immediatamente per chiedere il suo rilascio, avvenuto oggi. Per Amnesty international la detenzione di Bahgat è “un attacco feroce al giornalismo indipendente e alla società civile”, mentre Human rights watch ha sottolineato il ruolo svolto dal giornalista nel documentare, fin dall’inizio degli eventi di piazza Tahrir, “le violenze contro i manifestanti e contro i detenuti”, un lavoro che ha permesso di lanciare la campagna contro i processi ai civili nei tribunali militari (#NoMilitarytrial). L’aspetto ironico della vicenda attuale è che Bahgat è stato accusato proprio da un tribunale militare per attività strettamente civili.

Quest’ultimo episodio dimostra come la situazione della libertà di stampa in Egitto sia tornata ai livelli del regime di Mubarak. Prima dell’arresto di Bahgat, avvenuto l’8 novembre, sono stati arrestati Salah Diab, fondatore del principale giornale privato egiziano Al Masry al Youm, e suo figlio, mentre nella stessa giornata il giovane Abdel Naby, amministratore della pagina Facebook Internet Revolution Egypt, è stato interrogato insieme alla madre e al fratello senza nessun motivo valido. Tutte questi interrogatori e arresti potrebbero intimidire ulteriormente le ultime voci critiche verso il regime.

A tutt’oggi non si sa che esito avrà l’accusa contro Bahgat. Si può solo citare una sua inchiesta del febbraio 2015 sul rilascio di alcuni jihadisti da parte del regime, che finiva con il parere del giurista Seif al Islam: “Niente è impossibile per il regime attuale”.

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