02 dicembre 2016 14:31

Il 4 dicembre si terranno le elezioni presidenziali in Uzbekistan, uno stato dell’Asia centrale che in passato faceva parte dell’Unione Sovietica e da molti anni è governato da un regime autoritario. I candidati sono quattro, ma il risultato sembra già scontato.

Il probabile vincitore è l’attuale presidente ad interim Shavkat Mirziyoyev, 59 anni, che ha preso il posto di Islom Karimov, morto il 2 settembre. Nonostante questo, per la prima volta durante la campagna elettorale anche i candidati dell’opposizione hanno avuto visibilità, anche se minima.

Da quando l’Uzbekistan ha conquistato l’indipendenza, nel 1991, le elezioni in stile sovietico sono state la normalità per il paese. Prima di morire, Karimov aveva vinto le presidenziali quattro volte di seguito, conquistando ogni volta circa il 90 per cento dei voti. L’opposizione è di fatto inesistente.

Il 4 dicembre alle urne i cittadini potranno scegliere tra:

  • Shavkat Mirziyoyev, il candidato del Partito liberaldemocratico dell’Uzbekistan, il partito che appoggiava Islom Karimov, di ideologia nazionalista
  • Nariman Umarov del Partito socialdemocratico della giustizia (Adolat), di centrosinistra
  • Sarvar Otamuratov del Partito democratico della ricostruzione nazionale dell’Uzbekistan, di orientamento nazionalista
  • Khatamjon Ketmanov del Partito democratico popolare dell’Uzbekistan, formazione politica liberalconservatrice

Cotone, gas e torture
Sotto il governo del presidente Islom Karimov, cominciato nel 1989, l’economia uzbeca è cresciuta grazie alle esportazioni di cotone, gas e oro. Ma nel complesso il suo sistema politico è rimasto autoritario e la situazione dei diritti umani è ancora preoccupante. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, nel paese l’uso della tortura è “sistematico”.

L’Uzbekistan in questi anni è stato criticato anche per il modo in cui tratta i giornalisti. I mezzi d’informazione di stato sono saldamente nelle mani del governo e la legge punisce severamente i giornalisti per le “interferenze nelle questioni di politica interna”.

I reporter stranieri inoltre sono stati gradualmente espulsi dal paese da quando nel 2005 è avvenuto il cosiddetto massacro di Andijan, in cui un numero non precisato di persone (tra 140 e mille a seconda delle fonti) furono uccise dall’esercito durante una manifestazione di protesta, liquidata dall’allora presidente Karimov come un’insurrezione degli integralisti islamici.

Secondo Human rights watch, i pochi giornalisti liberi rimasti nel paese sono soggetti a violenze e intimidazioni, mentre diversi intellettuali e dissidenti sono finiti in prigione.

La stessa nomina di Shavkat Mirziyoyev a presidente ad interim è frutto di una violazione della costituzione, che prevedeva che l’incarico spettasse al presidente del senato.

Mirziyoyev, ritenuto molto vicino agli oligarchi russi, ha gestito in prima persona il settore agricolo, in particolare l’industria del cotone, criticata al livello internazionale per lo sfruttamento del lavoro minorile.

Qualcosa si muove
Questa campagna elettorale non sembra molto diversa dalle precedenti. La televisione di stato ha dato grandissimo spazio a Mirziyoyev. Qualche piccola novità però sembra esserci, fa notare il sito Eurasia.org. L’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce), che ha inviato degli osservatori nel paese per vigilare sul voto, ha dichiarato che i candidati dell’opposizione hanno avuto possibilità di diffondere i loro messaggi come mai prima d’ora.

“Ogni candidato ha avuto 642 cartelloni esposti in tutto il paese e l’accesso a 36 megaschermi per diffondere i suoi messaggi elettorali”, ha scritto l’Osce in un rapporto pubblicato il 24 novembre. I servizi trasmessi dalla tv di stato, inoltre, coprono le campagne elettorali di tutti i candidati.

Galiya Ibragimova, consulente del centro studi russo Pir center, un’organizzazione indipendente dal Cremlino, sostiene che l’obiettivo di queste elezioni è di rafforzare non solo la legittimità di Mirziyoyev, ma anche quella di un intero sistema politico in un momento di difficile transizione.

“Le élite politiche dell’Uzbekistan hanno trovato un accordo per mettere in piedi una competizione elettorale, almeno dal punto di vista formale, e stanno parlando anche di liberalizzazioni economiche, di riforma della giustizia e perfino di permettere l’esistenza di una sorta di opposizione”, spiega Ibragimova.

Quello che è sicuro è che il presidente che prenderà il posto di Islom Karimov non avrà un compito semplice. In un articolo sull’Uzbekistan pubblicato a settembre, l’Economist ha commentato:

Chiunque gli succederà, Karimov lascia un’eredità complicata. Anche se l’Uzbekistan è il più popoloso degli stati centroasiatici (ha 31 milioni d’abitanti), anche se possiede molte riserve di minerali e un tempo era considerato il più promettente, ormai è in fallimento, piagato dalla corruzione e gestito con modalità sovietiche. Il mercato nero è fiorente. Gli investitori stranieri sono spaventati da una lunga tradizione di espropriazioni di beni. Il denaro proveniente dalle esportazioni di gas, oro e cotone (raccolto da milioni di lavoratori forzati ogni anno) arricchisce le tasche di poche persone corrotte, mentre gli uzbechi comuni fanno fatica a tirare avanti.

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