11 settembre 2019 14:07

Nell’impossibilità di uscire dai confini dei campi profughi sovraffollati e fatiscenti situati su un lembo di terra a Cox’s Bazar, un distretto di confine del Bangladesh, per un milione circa di rohingya gli smartphone erano virtualmente l’unico collegamento con il resto del mondo.

Il 2 settembre il governo del Bangladesh ha però ordinato all’improvviso a tutte le compagnie telefoniche di interrompere i servizi di telefonia mobile e di non vendere più sim card nei campi. Alle aziende sono stati concessi solo sette giorni per adeguarsi.

La mossa a sorpresa è stata accolta con sgomento e rabbia nei campi e non solo. Contribuirà a far aumentare il senso di abbandono e disperazione provato dai rohingya musulmani, due anni dopo che in 750mila sono stati scacciati senza pietà dai loro villaggi nello stato del Rakhine, oltre il confine con la Birmania, con un’operazione che le Nazioni Unite hanno condannato come “genocida”.

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Con il blocco dei telefoni, ha commentato un funzionario, “questo popolo già perseguitato sarà ulteriormente isolato e oppresso”. Il provvedimento spingerà i rohingya verso “atteggiamenti negativi, dal crimine alla violenza all’estremismo”.

Già in passato le autorità del Bangladesh avevano cercato di limitare l’accesso alla telefonia mobile nei campi. Non meglio specificati “timori per la sicurezza” sono stati addotti per giustificare quest’ultimo provvedimento, ancora più draconiano, che riflette il deterioramento dei rapporti tra i profughi e la popolazione locale. Non c’è da sorprendersi, se si pensa all’improvviso afflusso di centinaia di migliaia di persone disperate e traumatizzate in un’area già molto povera.

Dopo decenni di persecuzione i rohingya temono comprensibilmente come potrebbe trattarli l’esercito birmano in caso di rientro

Secondo la polizia bangladese, i rohingya avrebbero “abusato” del loro accesso ai cellulari per dedicarsi ad attività criminali, tra cui il traffico di metanfetamine. Di recente la polizia ha ucciso quattro rohingya nel corso di un’indagine per la morte di un poliziotto bangladese del posto, Omar Faruk, ucciso secondo le autorità da criminali rohingya. Il suo omicidio ha spinto lo scorso 22 agosto centinaia di bangaldesi adirati a bloccare l’accesso a uno dei campi e ad attaccare i negozi usati dai profughi.

Il governo del Bangladesh è sempre più frustrato per la situazione dei profughi. È stato lodato per aver accolto i rohingya, ma il divieto di usare i cellulari è solo un’ulteriore prova del fatto che la sua pazienza si sta per esaurire.

A febbraio il governo aveva annunciato l’intenzione di non accogliere altri rohingya. Fonte di particolare irritazione è stato il fallimento dei programmi di rimpatrio negoziati con grande difficoltà con il governo birmano. Nell’ultimo tentativo, compiuto il 22 agosto, nessuno dei 3.450 profughi rohingya identificati per il rimpatrio si è presentato agli autobus venuti a riportarli nello stato del Rakhine. Dopo decenni di persecuzione etnica e marginalizzazione economica, ancora senza accesso alla cittadinanza e ai diritti civili di base, i rohingya continuano comprensibilmente a temere come potrebbe trattarli l’esercito birmano in caso di ritorno.

Il ministro degli esteri bangladese Abul Kalam Abdul Momen ha accusato le Nazioni Unite di non aver esercitato sufficiente pressione sulla Birmania affinché riaccogliesse i profughi rohingya. In un’intervista del 4 settembre con il canale televisivo tedesco Dw, ha dichiarato che questo è un “problema internazionale” e che “è ora che anche altri si facciano avanti… non possiamo permetterci di tenerli qui per anni”.

Ha inoltre evocato ancora una volta la minaccia di spedire i rohingya su un’isola battuta dai cicloni nella baia del Bengala, una possibilità già respinta dalle Nazioni Unite e dai gruppi a sostegno dei diritti umani. Quell’isola oltretutto potrebbe ospitarne non più di centomila.

A due anni dall’espulsione genocida del 2017, la compassione per i rohingya in Bangladesh sembra ormai agli sgoccioli. Dopo un periodo di relativa calma e stabilità, nei campi stanno tornando incertezza e paura.

(Traduzione di Giusy Muzzopappa)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.

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