21 maggio 2020 18:39

Nell’ambito del controllo delle epidemie estinguere un focolaio è un po’ come arrestare un serial killer al termine di una lunga indagine. Il successo dipende da abilità simili, come dimostrò nel 1854 l’inglese John Snow, che stabilì i princìpi dell’epidemiologia moderna. Quell’anno un’epidemia di colera nel centro di Londra uccise più di cinquecento persone nell’arco di appena due settimane. Snow indagò su circa 60 decessi individuando un fattore comune: una pompa dell’acqua contaminata. Bastò rimuovere la leva di quella pompa per mettere fine all’epidemia.

Le misure d’isolamento imposte per contenere l’epidemia di covid-19 si sono allontanate parecchio dai fondamenti dell’epidemiologia. Tornando al paragone con l’epidemia di colera, è come se avessimo rimosso le leve di tutte le pompe dell’acqua di Londra. Tuttavia le tendenze che emergono dai focolai e dai decessi legati alla pandemia attuale lasciano pensare che la prossima fase vedrà un ritorno all’epidemiologia classica. In altre parole, le misure saranno calibrate in base ai luoghi e alle persone coinvolte. Quello che può funzionare in una metropoli multiculturale e affollata come New York potrebbe essere diverso dalle misure adatte a uno stato rurale e omogeneo come il Wisconsin. L’obiettivo finale, comunque, non cambia: proteggere dal Sars-cov-2 le persone che presentano il rischio maggiore di sviluppare sintomi gravi.

Barriere nelle case di riposo
Grazie al moltiplicarsi degli studi condotti in tutto il mondo stiamo cominciando a capire quali sono le persone più esposte al virus. Tra i dati più significativi ci sono quelli contenuti in uno studio pubblicato il 7 maggio da Ben Goldacre dell’università di Oxford e dai suoi colleghi. La ricerca ha analizzato le cartelle cliniche di oltre 17mila britannici, di cui seimila sono morti a causa del covid-19. Lo studio, che diversamente da altri ha potuto utilizzare i dati sull’età avanzata, il consumo di tabacco e la povertà, ha confermato il sospetto secondo cui il rischio di morte è particolarmente elevato per gli obesi, i diabetici, i pazienti oncologici e le persone che si sono sottoposte a un trapianto d’organo. Anche essere maschio è pericoloso. Tuttavia il fattore principale è l’età avanzata. I sessantenni hanno il doppio di probabilità di morire a causa del covid-19 rispetto ai cinquantenni. La mortalità aumenta ancora più rapidamente dopo i settant’anni, e anche gli anziani in buona salute sono a rischio. I dati raccolti dall’Economist in nove paesi ricchi indicano che le case di riposo per anziani e malati rappresentano tra il 40 e l’80 per cento dei decessi da covid-19.

Questo aspetto, di per sé spaventoso, ci offre anche un’opportunità. Concentrare gli sforzi sulle case di riposo ridurrebbe considerevolmente i decessi. Per esempio si potrebbero introdurre misure preventive simili a quelle adottate degli ospedali, come l’uso di mascherine e vesti protettive da parte del personale e test frequenti su ospiti e dipendenti. Inoltre sarebbe prudente testare i visitatori regolari o trovare altri metodi per impedire che portino il virus all’interno delle strutture. Alcune case di riposo olandesi hanno installato pareti divisorie in vetro nelle stanze dove i visitatori incontrano gli ospiti.

Questo approccio potrebbe dare dei suggerimenti su come affrontare la malattia in generale. Una strategia proposta dall’università di Edimburgo consiste nel dividere la popolazione in tre segmenti: i più vulnerabili, i loro contatti più frequenti (chiamati “custodi” e tutti gli altri. Tra i custodi ci sono le persone che convivono con i più vulnerabili, i parenti che li visitano e gli operatori sociali che li assistono. In base a questo approccio i vulnerabili dovrebbero prendere le maggiori precauzioni per evitare il contagio, mentre i custodi dovrebbero prendere più precauzioni rispetto agli altri.

Stanno già emergendo diverse idee su come realizzare quest’idea. A Gibilterra e in Bulgaria, per esempio, è stata introdotta una fascia oraria in cui i parchi e gli spazi pubblici sono riservati agli anziani. Le applicazioni per il tracciamento, capaci di individuare le persone entrate in contatto con un individuo infetto, sarebbero particolarmente utili per i custodi, così come le precauzioni igieniche, le mascherine e il distanziamento sociale. Inoltre ai custodi potrebbe essere data la priorità nei test.

Quante persone rientrerebbero in ciascun segmento dipende dai criteri adottati per valutare la vulnerabilità. Il sistema sanitario britannico ha individuato 1,5 milioni di persone a rischio a causa di patologie pregresse, ovvero il 2,7 per cento della popolazione. Se la definizione fosse estesa a tutti gli ultrasettantenni e gli anziani che vivono nelle case di riposo, coprendo in questo modo circa l’80 per cento delle persone che sembrano sviluppare una forma grave di covid-19, si arriverebbe al 20 per cento della popolazione. Secondo i ricercatori di Edimburgo, in media c’è un custode per ogni persona inclusa in questo gruppo allargato. Questo significa che circa il 60 per cento della popolazione potrebbe riprendere la normale attività quotidiana mantenendo solo un livello moderato di distanziamento.

Famiglie allargate
Identificare le persone vulnerabili però presenta diverse complicazioni. Oltre agli anziani e alle persone con patologie pregresse, lo studio di Goldacre indica una terza categoria a rischio: le minoranze etniche. Pur tenendo in considerazione le differenze di salute e risorse economiche, per le persone di colore e i discendenti degli immigrati dal sudest asiatico il rischio di morire per il covid-19 è superiore del 60-70 percento rispetto ai britannici bianchi. In Svezia l’incidenza degli immigrati provenienti da Iraq, Siria e Somalia tra i pazienti ricoverati in ospedale con una forma grave di covid-19 è nettamente più elevata rispetto alla loro presenza all’interno della popolazione svedese. In Norvegia le persone nate all’estero sono il 15 per cento della popolazione totale, ma rappresentano il 25 per cento dei contagi accertati fino al 19 aprile. Le minoranze soffrono anche negli Stati Uniti, dove i decessi da covid-19 sono concentrati in modo sproporzionato tra i neri e gli ispanici.

Questi dati possono aiutare le autorità a identificare la combinazione migliore di misure preventive per ridurre la mortalità da covid-19 all’interno di gruppi specifici. Tra gli aspetti più importanti emersi dalle statistiche c’è il fatto che alcune situazioni abitative rendono più difficile contenere il contagio. Per esempio le famiglie multigenerazionali, molto comuni all’interno di alcune minoranze per motivi culturali ed economici, aumentano il rischio di contagio per i più vulnerabili. Negli Stati Uniti il 26 per cento degli afroamericani e il 27 per cento degli ispanici vive in abitazioni condivise da almeno due generazioni di adulti o in famiglie composte da nonni e nipoti, senza la generazione intermedia. Tra i bianchi la percentuale scende al 16 per cento. Un altro problema è rappresentato dal sovraffollamento. Nel Regno Unito circa un terzo delle famiglie di origine bengalese e il 15 per cento di quelle di origine africana vive in condizioni di sovraffollamento in base ai criteri dell’Ufficio nazionale di statistica. Tra le famiglie bianche la percentuale è di appena il 2 per cento.

Per risolvere questi problemi alcune amministrazioni hanno creato strutture per la quarantena dedicate alle persone che non possono isolarsi in casa. La Svezia è particolarmente generosa: Stoccolma offre appartamenti indipendenti a tutti gli immigrati che fanno parte di famiglie numerose e rischiano di sviluppare forme gravi di covid-19

In molti casi ci si è dimenticati di tradurre le informazioni nelle lingue parlate dagli immigrati

La comunicazione è un altro elemento cruciale. Nella prima fase dell’epidemia in molti casi ci si è dimenticati di tradurre le informazioni sulla prevenzione nelle lingue parlate dagli immigrati e diffonderle attraverso i canali più usati dagli immigrati, come i leader di comunità o le stazioni radiofoniche nella loro lingua madre. Questi accorgimenti non sono una novità nella sanità pubblica. Erano stati adottati durante le recenti epidemie di morbillo nel Regno Unito, in molti casi emerse tra gli immigrati dall’Europa orientale.

Anche alcuni lavori presentano un elevato rischio di contagio. Negli Stati Uniti, in Germania e in Danimarca alcuni dei maggiori focolai si sono sviluppati nei mattatoi, dove la trasmissione del virus è stata favorita dall’affollamento e probabilmente dalle basse temperature (ci sono prove che il Sars-cov-2 sopravvive meglio al freddo). Sicuramente il fatto che i dipendenti di queste strutture siano spesso immigrati che vivono in alloggi sovraffollati non aiuta. Altre occupazioni, soprattutto nel settore dei servizi, presentano una combinazione tra il rischio elevato di trasmissione e un’alta percentuale di lavoratori anziani. Nel Regno Unito rientrano in questa categoria le guardie di sicurezza, gli idraulici e i muratori. I datori di lavoro dovranno adottare misure più vincolanti per proteggere i loro dipendenti dal contagio, assegnando mansioni meno rischiose ai più vulnerabili, migliorando l’igiene e garantendo il distanziamento fisico e controlli sanitari regolari.

Tutte queste strategie mirate dipendono dalla raccolta di dati sulla prevalenza del contagio in determinati gruppi. L’aumento e il perfezionamento delle analisi dei campioni per cercare contagi attuali e passati, sta migliorando sensibilmente la situazione. Se i test diventeranno sufficientemente rapidi e affidabili, le prossime ondate di covid-19 potrebbero essere più contenute e meno dannose per la vita sociale per l’economia.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è uscito sul settimanale britannico The Economist.

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