12 luglio 2021 14:04

La battaglia per il futuro di Eswatini, l’ex Swaziland, prosegue. Finora almeno quaranta persone sono morte e altre mille sono state gravemente ferite negli scontri tra manifestanti e polizia, secondo i dati raccolti da una coalizione di cinque partiti d’opposizione, di cui fa parte anche il Movimento popolare democratico unito. Altre cinquecento persone sono state arrestate.

Due giornalisti di questo giornale, Magnificent Mndebele e Cebelihle Mbuyisa, sono stati inviati sul posto per raccontare la rivolta e la successiva repressione. Per giorni sono stati pedinati, intercettati, minacciati con armi da fuoco e costretti a cancellare foto e video dai loro dispositivi digitali. Il 4 luglio sono stati fermati da un gruppo di soldati sull’autostrada vicino alla città di Matsapha e portati in un commissariato a Sigodvweni, dove sono stati interrogati, picchiati e torturati. New Frame è riuscito a trovare un avvocato locale attraverso uno studio legale di Johannesburg. Mndebele e Mbuyisa sono stati rintracciati e rilasciati poco dopo le tre del pomeriggio. I due giornalisti sono stati portati in ospedale per essere curati, e per accertare i maltrattamenti subiti. A quel punto dirigersi direttamente al confine non era sicuro. Un comune cittadino, impiegato come addetto alle pulizie, ha offerto ai due giornalisti un posto dove passare la notte, un tè caldo e la possibilità di fare una telefonata. Mndebele e Mbuyisa sono tornati in Sudafrica nel primo pomeriggio del giorno dopo.

Con coraggio e integrità, Mndebele e Mbuyisa hanno raccolto testimonianze importanti sulla violenta repressione della rivolta contro la dittatura. Il giro di vite di queste ultime settimane in Eswatini non è un fenomeno recente. I giornalisti, i sindacalisti e altri attivisti hanno subìto una repressione prolungata durante il regno di Mswati III, il monarca che gode del potere assoluto, asceso al trono nel 1986. Non è stato lui a creare la dittatura nel paese. Nel 1973 suo padre, re Sobhuza II, aveva già messo fuorilegge i partiti politici.

Durante il regno di Mswati III le libertà di espressione, assemblea e associazione sono state fortemente limitate. I dissidenti sono stati sottoposti a perquisizioni arbitrarie nelle loro case, ad arresti, alla tortura e all’incarcerazione. Le accuse di omicidi extragiudiziali sono state frequenti.

I rapporti tra omosessuali sono stati criminalizzati, le minoranze sessuali sono perseguitate e le persone con genitori di diverse etnie discriminate. Di contro, il lavoro minorile e i matrimoni forzati sono consentiti. Mentre il 60 per cento della popolazione rurale vive con meno di 1,7 euro al giorno, Mswati ha accumulato un patrimonio di proporzioni grottesche. Una stima parla di più di 160 milioni di euro. Il re possiede un’auto da 410mila euro. Nel bilancio statale del 2014 erano stati stanziati 50 milioni di euro per le sue spese domestiche. Nel 2018 il re si è regalato per il compleanno un aereo e un aeroporto privato del valore complessivo di 150 milioni di queo.

Mswati è stato ripetutamente accusato di aver rapito delle donne per costringerle a sposarlo. Nel 2000 avrebbe convocato una riunione per discutere la possibilità di “sterilizzare e marchiare” le persone affette da aids.

Complici
Esiste una lunga tradizione di solidarietà tra i sindacati di Eswatini e i sindacati progressisti sudafricani. Ma lo stato sudafricano non critica Mswati III e la sua dittatura, e lui è accolto con tutti gli onori nelle cerimonie pubbliche nel paese vicino. Questo è inaccettabile. Il Sudafrica non è l’unico paese a comportarsi in questo modo: Eswatini intrattiene buoni rapporti con le élite brutali e corrotte che governano gran parte dell’Africa meridionale.

Il 2 luglio il presidente del Botswana Mokgweetsi Masisi, come portavoce della Comunità di sviluppo dell’Africa del sud, ha riconosciuto solo una vittima in Eswatini, invitando tutti “gli attori coinvolti a far conoscere le loro rimostranze attraverso i canali prestabiliti”, che però sono stati creati e sono gestiti dal regime. Il comunicato dell’Unione africana è stato altrettanto anodino.

Anche la condotta nel paese dell’azienda di telecomunicazioni sudafricana Mtn è stata deprecabile. In Eswatini l’Mtn, come molte altre aziende, è legata da un doppio filo alle élite locali. Mswati III è il principale azionista indipendente della filiale di Mtn nel regno. Su richiesta dello stato, il 29 giugno l’Mtn ha bloccato l’accesso a internet in tutto il paese, fornendo una copertura per la repressione imposta dal regime. L’azienda ha dichiarato di aver accettato la richiesta del regime dopo aver “valutato attentamente” la propria “responsabilità in merito al rispetto dei diritti umani digitali”.

Il fatto che lo stato abbia chiesto all’Mtn di bloccare la rete è una prova del suo estremo cinismo. Alla fine di giugno migliaia di persone avevano presentato delle petizioni a favore delle riforme democratiche alle autorità locali. Di fronte a queste richieste, il governo ha emanato un decreto che vieta la presentazione collettiva delle petizioni, invitando i cittadini a mandarle per email. Con la rete bloccata, è sparita anche quell’unica forma di espressione del dissenso, per quanto limitata e poco efficace. Intanto il re Mswati III continua a giustificare il proprio potere dispotico e predatorio rivendicando legami con la tradizione, che sono inesistenti, come vi confermerà qualsiasi studioso serio dell’Africa precoloniale.

Nel momento in cui scriviamo l’esercito ha ancora il controllo delle strade. Le fabbriche sono state riaperte. Mswati III non è stato sconfitto. Ma la resistenza continua (l’11 luglio è prevista una manifestazione di massa per la democrazia convocata dai partiti dell’opposizione e dalle organizzazioni per la società civile).

Quando i giornalisti di New Frame, Mndebele e Mbuyisa, sono riusciti a fare la prima telefonata dopo essere tornati in libertà, grazie al telefono che gli ha prestato l’addetto alle pulizie che li ha protetti, Mbuyisa ha detto che in questa guerra ci sono solo due schieramenti: quelli con le armi da un lato, tutti gli altri dall’altro.

(Traduzione di Andrea Sparacino)

Questo articolo è stato pubblicato sul sito sudafricano New Frame.

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