20 ottobre 2022 12:09

A settembre, quando sono tornati all’università per l’inizio dell’anno accademico, gli studenti di Rennes, in Bretagna, hanno trovato una sorpresa: quattro mense avevano chiuso. Lo stesso è capitato ai loro coetanei a Lannion, una città vicina: lì non era più in servizio la caffetteria del politecnico. Altre ragazze e ragazzi, in varie regioni della Francia, hanno vissuto la stessa esperienza.

Il problema non sono solo le chiusure, avverte il sito francese StreetPress, che ha analizzato questa deriva in un’inchiesta pubblicata pochi giorni fa. In Bretagna le mense hanno cominciato a distribuire porzioni ridotte, soprattutto di carne e di pesce, e se qualcuno chiede di avere un piatto più abbondante deve pagare un extra. Una fetta di pane in più, per esempio, costa cinquanta centesimi. Anche le posate sono diventate a pagamento: cinque centesimi per ogni pezzo (di legno). Dalla parte opposta del paese, a Lione, hanno un sovrapprezzo di cinquanta centesimi perfino le tazze e i piatti.

Un valore particolare
Con chi prendersela? La vita per gli universitari è diventata più cara in generale: secondo un’indagine pubblicata ad agosto dall’Unione nazionale degli studenti francesi (Unef), quest’anno dovranno spendere 428 euro in più per mantenersi, circa 35 euro in più al mese. Dal 2017, significa un rialzo del 16,8 per cento. Ma all’interno di questa tendenza complessiva, i rincari del settore della ristorazione hanno un valore particolare.

In Francia le mense universitarie sono gestite da centri regionali chiamati Crous. Queste strutture sono state create negli anni cinquanta con l’unico obiettivo di migliorare le condizioni di vita degli studenti. Sono 26, hanno un coordinamento centrale, il Cnous, e si rivolgono a un bacino di 2,7 milioni di persone.

I Crous sono strutture pubbliche che si autofinanziano, ma offrendo servizi a prezzi agevolati è chiaro che il loro modello economico non può essere redditizio. Le entrate riescono a coprire circa il 70 per cento delle spese; il resto dovrebbe essere saldato in parte dallo stato, attraverso una sovvenzione concessa ogni anno. Nel 2020, un periodo piuttosto difficile a causa della pandemia, le mense sono andate in rosso di quasi 150 milioni di euro, e i finanziamenti aggiuntivi garantiti da Parigi sono stati circa cento milioni. Nel 2021 le perdite sono state stimate in 41 milioni di euro. Una proposta fatta ad agosto per alzare i bilanci dei centri è stata bocciata in parlamento.

Naïm Shili, segretario del sindacato studentesco l’Alternative, sintetizza così la situazione: “Negli ultimi anni l’investimento pubblico nelle mense universitarie non ha tenuto il passo. I Crous sono in difficoltà finanziarie, quindi sono costretti a trovare altre fonti di reddito o a limitare il deficit. E questo vuol dire non aprire strutture nuove o eliminare quelle che ci sono”. È successo a Grenoble, Montreuil; in un nuovo campus a Cannes, dove il servizio di ristorazione è stato affidato per un anno a un’impresa privata prima di tornare a una gestione pubblica, grazie all’intervento del comune.

In un comunicato del 16 settembre, il Crous Rennes Bretagna ha dichiarato che “non è per ragioni economiche, ma per combattere gli sprechi se il pezzo di pane in più costa cinquanta centesimi”. Le porzioni sono meno ricche per una questione di sensibilità verso la crisi climatica; e la carne compare meno nei menù perché si è deciso di dare più spazio ai piatti vegetariani. Il Crous de Lyon, ha specificato che se gli studenti non vogliono o non possono pagare per i loro bicchieri, i piatti o le posate, possono semplicemente portarli da casa.

In un’università in Normandia la mensa non ha chiuso, ma non offre più la “formula studenti” – antipasto, piatto principale e dessert a 3,30 euro. Ora sul listino dei prezzi si legge: quattro euro per un piatto di pasta con chorizo e pomodoro, 2,60 euro per la versione vegetariana o 4,20 euro per un hamburger con patatine. Come soluzione, molti si cucinano a casa qualcosa. Alcuni ripiegano sui fast food che hanno rimpiazzato le mense, o sui distributori automatici. Altri saltano direttamente il pranzo.

Questo articolo è tratto da Doposcuola, la newsletter di Internazionale sul mondo della scuola e dell’università. Ci si iscrive qui.

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