02 dicembre 2016 11:57

Awet ha dormito in strada per un mese, nel piazzale dietro l’avveniristica stazione Tiburtina da poco rinnovata. Alle prime luci del mattino, il ragazzo esce intirizzito dalla tenda da campeggio verde allestita da Medici per i diritti umani (Medu) e dai volontari della Baobab experience e comincia a saltellare con l’aria ancora mezza addormentata. Ha dormito con un giaccone rosso e con un cappello di lana ben calzato sulla testa, l’aria del mattino è tersa e il freddo è pungente.

A Roma questa settimana è cominciato l’inverno: di notte le temperature scendono sotto lo zero. Awet è eritreo e si trova nella capitale da un mese dopo aver fatto domanda di relocation, cioè ha chiesto alle autorità italiane di essere ricollocato in uno degli altri paesi dell’Unione europea come previsto dall’Agenda europea sull’immigrazione. Awet sorseggia un po’ di tè caldo che gli hanno portato i volontari e sorride: “È dura, molto dura. E chi se lo aspettava che fosse così freddo a Roma!”.

Ci sono una settantina di ragazzi che dormono nel piazzale, alcuni sono ancora nelle tende oppure sdraiati sul marciapiede con strati di coperte di lana addosso, altri già giocano a pallone nella piazza. Sono quasi tutti eritrei e sudanesi. I volontari della Baobab experience hanno allestito un presidio per distribuire tè, latte e cornetti.

Awet non sa in quale paese potrà andare a vivere e quando sarà chiamato per essere trasferito, ma è convinto che con la chiusura delle frontiere la scelta giusta sia aspettare in Italia, anche se le condizioni sono sempre più dure. Dorme per strada da giorni, contando sull’assistenza dei volontari e delle associazioni che aiutano i migranti intorno alla stazione Tiburtina, nonostante i numerosi sgomberi da parte delle forze di polizia e l’indifferenza delle istituzioni.

Un piccolo passo
“Ogni sgombero ci ha dato più forza di prima”, dice Roberto Viviani, uno dei volontari della Baobab experience. “La generosità dei cittadini è senza limiti, ci hanno fatto donazioni ancora più importanti a ogni sgombero e abbiamo dovuto prendere in affitto un magazzino per stipare tutto il materiale che ci viene donato per i migranti”, spiega Viviani che insieme agli altri volontari e a numerose associazioni continua a passare ogni giorno a piazzale Spadolini per portare cibo, vestiti, assistenza legale e medica. “Le attività più importanti per noi però sono quelle culturali: abbiamo organizzato delle visite guidate in città per fare scoprire a questi ragazzi le bellezze di Roma. Facciamo tornei, partecipiamo a maratone, li portiamo a ballare nei centri sociali qualche sera”, afferma. “Per noi queste sono le cose più importanti”, afferma.

Ora ci sono buone notizie: dopo mesi di contrasti con l’amministrazione che negava un’assistenza ai migranti di passaggio dalla capitale, il 30 novembre il comune di Roma ha promesso che accoglierà decine di persone che al momento sono costrette a dormire all’addiaccio. L’assessora alle politiche sociali Laura Baldassarre ha detto che rinnoverà fino a giugno del 2017 il protocollo d’intesa con la Croce rossa italiana, che scadeva a dicembre.

Io volentieri me ne andrei in letargo questo inverno, se le istituzioni si mettessero a lavorare

Questo permetterà al centro di via del Frantoio gestito dalla Croce rossa di rimanere operativo con i suoi 92 posti letto e dare un riparo ai richiedenti asilo e migranti, che ora vivono per strada. Inoltre saranno messi a disposizione dei migranti altri 50 posti letto previsti dal piano per l’emergenza freddo che è operativo dal 1 dicembre. Da gennaio del 2017, infine, saranno disponibili 70 posti in una struttura dedicata ancora da individuare. Inoltre sarà permesso ai volontari della Baobab experience e ad altre associazioni di tenere in piedi un presidio umanitario e informativo alla stazione Tiburtina, luogo di arrivo e di transito della maggioranza dei migranti e dei richiedenti asilo che passano nella capitale.

“È un primo passo”, afferma Viviani che, insieme agli altri volontari, da tempo chiede l’allestimento di un centro per transitanti sul modello di quello che già esiste a Milano e in altre città europee. Awet è stato trasferito a via del Frantoio, insieme agli altri ragazzi che finora dormivano nel piazzale dietro alla stazione. “Aspettiamo di vedere cosa succede”, dice Rosaria, un’altra delle volontarie della Baobab experience. “Io volentieri me ne andrei in letargo questo inverno, se le istituzioni si mettessero a lavorare”, dice ridendo, mentre porta al presidio degli scatoloni di latte.

Politiche fallimentari
Violazione del diritto d’asilo, mancanza d’informazioni e di procedure chiare per l’accesso alla protezione internazionale e alla ricollocazione sono questioni gravi che rimangono aperte a Roma e in tutto il paese, anche se per il momento sembrerebbe avviato un percorso di assistenza materiale dei migranti e dei richiedenti asilo in transito nella capitale. A denunciarlo sono Fiorella Rathaus e Valeria Carlini, del Consiglio italiano per i rifugiati (Cir) che insieme ad altre associazioni (A buon diritto, Radicali Roma, Action) hanno fornito assistenza legale agli ospiti della Baobab experience.

“Mentre lo scorso anno assistevamo persone che non volevano fare domanda d’asilo in Italia e volevano raggiungere il Nordeuropa, negli ultimi mesi ci siamo trovate davanti persone che sono in un limbo, cioè hanno fatto domanda d’asilo o di relocation in qualche questura italiana, ma poi si sono messe comunque in viaggio a causa dei tempi di attesa troppo lunghi; oppure perché non sapevano qual è la procedura da seguire. Ci sono casi sempre più complicati che non si riesce a risolvere, frutto della mancanza d’informazioni fornite dalle autorità a queste persone”, spiega Valeria Carlini.

Migranti in Campidoglio, Roma, l’11 ottobre 2016. (Christian Minelli, NurPhoto/Getty Images)

I migranti in transito da Roma hanno situazioni legali molto diverse da quelle di coloro che passavano dal Baobab solo qualche mese fa. E i paradossi legali ed esistenziali in cui si trovano sono frutto delle politiche fallimentari dell’Unione europea sull’immigrazione.

“All’inizio pensavamo che il problema grosso delle relocation sarebbe stato convincere i migranti a scegliere questi programmi, perché li avrebbe costretti ad andare in posti dove non conoscevano nessuno, o dove non desideravano andare. Invece il problema grosso è che questi programmi non sono mai davvero partiti e che chi sceglie di essere ricollocato deve aspettare per mesi, senza capire bene cosa gli succederà”, dice Fiorella Rathaus. Per questo in molti si rimettono in viaggio da soli, entrando in una situazione legale complicata.

Daniel e gli altri nel limbo
“Nel mese di novembre abbiamo assistito 40 persone: 36 eritrei, due sudanesi e due ciadiani. Molte di queste persone avevano già posizioni aperte in altre questure italiane. Ed era difficile dai loro racconti capire quale fosse la loro situazione e se avessero formalizzato o meno domanda d’asilo o di relocation”, è scritto in un rapporto redatto dalle associazioni della rete legale.

Carlini ricorda la storia di Daniel, un ragazzo eritreo di 23 anni, incontrato a piazzale Spadolini, nel presidio della Baobab experience. Daniel ha detto agli operatori della rete legale di voler fare domanda per la relocation, ma dalla documentazione che portava con sé gli operatori hanno ricostruito che il ragazzo aveva già chiesto la relocation, senza saperlo.

Dopo l’arrivo in Italia, Daniel era stato trasferito in un centro per migranti di Pistoia e lì aveva già presentato una domanda, ma non era stato informato della procedura. Per questo si era allontanato dal centro ed era venuto a Roma. L’allontanamento aveva causato una revoca dell’accoglienza. Daniel ha dormito per strada come altri due ragazzi nella sua stessa condizione, senza sapere cosa fare. “Il provvedimento si potrebbe impugnare, ma per farlo Daniel dovrebbe rivolgersi a un avvocato”, spiega Carlini.

È molto frustrante vedere che l’accesso ai diritti non è uguale per tutti

Per gli operatori della rete legale del Baobab ricostruire la posizione giuridica delle persone incontrate in questi mesi è stato un lavoro molto complesso e a tratti frustrante. Dalle storie delle persone ascoltate è emersa molta diffidenza nei confronti delle autorità, prodotta dalla mancanza d’informazioni nei centri di accoglienza. La maggior parte delle persone ha dichiarato di aver lasciato i centri di accoglienza perché non riusciva ad avere accesso alla relocation. Per questo motivo in molti sono venuti a Roma e si sono ritrovati a dormire per strada.

“Abbiamo riscontrato situazioni molto diverse tra loro in relazione a persone con profili giuridici paragonabili ed è molto frustrante vedere che l’accesso ai diritti non è uguale per tutti e che può dipendere da una serie di eventi fortuiti, primo tra tutti la città in cui si è accolti. Abbiamo registrato una certa discrezionalità nell’attuazione delle procedure da parte delle prefetture e delle questure sul territorio nazionale”, afferma il rapporto.

Alla questura di Roma per esempio la situazione è molto critica: vengono fissati dieci o venti appuntamenti al giorno per fare domanda d’asilo e relocation. Inoltre i migranti segnalano la scarsa preparazione dei mediatori o in alcuni casi la loro assenza nelle questure. Al di là dell’accoglienza materiale dei migranti, sembra che ci sia un’emergenza ancora più grave: quella prodotta da politiche fallimentari che rendono difficile l’accesso al diritto d’asilo per persone che si trovano in una situazione di grande vulnerabilità. “Se non si interrompe questo meccanismo, la condizione di transitante diventerà sempre più spesso una scelta obbligata”, conclude Valeria Carlini del Cir.

I nomi dei richiedenti asilo citati in questo articolo sono di fantasia per tutelare l’identità di persone vulnerabili in fuga da un regime dittatoriale.

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