27 maggio 2022 12:13

Questo articolo è un’inchiesta della Red investigativa transforteriza.

Gustavo Petro è più vicino che mai a ottenere la presidenza della Colombia con le elezioni del 29 maggio. Sarebbe la conclusione felice della sua lunga lotta politica piena di ostacoli e il risultato di un processo di trasformazione graduale: da guerrigliero a dirigente di un movimento chiamato Pacto histórico, che oggi riunisce milioni di persone.

La congiuntura sembra propizia per il candidato, ed è in sintonia con quella di altri paesi dell’America Latina, anche se con sfumature diverse. Negli ultimi anni abbiamo assistito all’esaurimento del modello economico, al crollo dei partiti, alla crisi generalizzata delle istituzioni, allo scollamento delle élite tradizionali e alla loro incapacità di affrontare e capire una crescente insoddisfazione. Migliaia di latinoamericani sono scesi in piazza, soprattutto i giovani del Cile, del Perù e della Colombia, ed è in questo contesto che Gustavo Petro è in testa nei sondaggi, con un’intenzione di voto che va dal 35 al 40 per cento.

“Gli elettori sono stufi e vogliono cambiare”, dice Silvia Otero, docente dell’università del Rosario ed esperta di politica latinoamericana. Hanno così tanta voglia di cambiare che molti colombiani sembrano non curarsi di alcune caratteristiche della personalità di Petro: la sua tendenza all’autoritarismo e alla megalomania, sempre in agguato nei discorsi e nei tweet, in momenti chiave della sua vita e perfino nel podio a forma di enorme P (maiuscola e di un rosso acceso) su cui ha camminato mentre pronunciava il discorso inaugurale della campagna elettorale a Barranquilla, nel nord del paese.

Nel 2010 mi era rimasta l’impressione che Petro avesse un’abilità singolare di essere sottovalutato

Petro non vuole formare un buon governo, vuole cambiare la storia. Non propone una riforma agraria (la tradizionale scommessa su cui hanno puntato tutte le rivoluzioni latinoamericane, che in Colombia non c’è mai stata), ma modifiche ambiziose al modello economico. Vuole smettere di sfruttare petrolio e carbone, sostituendoli con le energie pulite e un turismo ambientalmente sostenibile. Non è stato ancora eletto, ma ha invitato Inácio Lula da Silva (il candidato favorito alle presidenziali brasiliane di ottobre) e il cileno Gabriel Boric a formare un fronte comune di leader di sinistra progressisti per puntare su questa trasformazione a lungo termine.

Che tipo di sinistra rappresenta Gustavo Petro? Le tappe di vari momenti della sua vita consentono di vedere l’uomo come davanti a uno specchio che non riflette solo lui, ma anche altri protagonisti delle diverse sinistre, alcune più populiste e autoritarie, dell’America Latina.

Prima scena. Arriveremo alla vittoria
Mancavano poche settimane alle elezioni presidenziali del 2010, e Petro non aveva nessun bisogno di andare nella Comuna 13, un quartiere popolare nella zona più alta di una delle montagne che circondano la città di Medellín, dove il 16 ottobre 2002 si era svolta la tristemente famosa operazione Orión contro presunti collaboratori della guerriglia: tutti i sospetti furono uccisi o fatti sparire dai militari alleati con le forze paramilitari.

Era la prima campagna elettorale di Petro per la presidenza e non aveva nessuna possibilità di vincere, per cui la sua presentazione su un podio improvvisato, in un campo sportivo dove non c’era quasi nessuno ad ascoltarlo, poteva essere interpretata solo come una provocazione. Avevo seguito quella visita come inviata di un progetto giornalistico chiamato Votebien.

Prima di mettere un piede fuori dal veicolo blindato su cui viaggiavamo, Petro si tolse la camicia bianca e indossò un giubbotto antiproiettile. È un’immagine che non dimentico: un uomo magro, quasi fragile, con gli occhiali spessi e dai movimenti impacciati.

Dopo aver assistito a quella scena e aver ripassato la sua traiettoria come dirigente politico e giovane guerrigliero, dopo aver parlato con persone che erano state testimoni dei suoi piani e delle sue strategie in momenti diversi, mi è rimasta l’impressione che Petro avesse un’abilità singolare di essere sottovalutato, al punto che gli altri si sono convinti che non riesca mai a ottenere una vittoria (in parlamento, come sindaco della capitale o come presidente). Invece lui vince. Si prepara per questo da tutta la vita, senza paura delle conseguenze, e fedele allo slogan del suo passato di lotta nel gruppo guerrigliero M-19: “Di sconfitta in sconfitta arriveremo alla vittoria”.

Questa vittoria desiderata, la presidenza, oggi è più vicina che mai, perché la Colombia non è più la stessa di quarant’anni fa, quando Petro entrò nella guerriglia; né quella del 1990, quando l’M-19 firmò un accordo di pace con il governo e consegnò le armi; né quella di quando Petro entrò in parlamento per la prima volta; né del 2010 quando fece la sua prima campagna presidenziale; e nemmeno a quella del 2018, quando ci riprovò per la seconda volta. Alcuni elettori, soprattutto i più anziani, non voterebbero mai per un “ribelle di sinistra” amico del “castrochavismo”: ma quest’immagine minacciosa ha perso peso, soprattutto negli ultimi cinque anni.

“Il paese ha firmato un accordo di pace con le Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc). Prima il passato guerrigliero di Petro toccava corde molto sensibili nel dibattito nazionale. Da allora il candidato ha cambiato posizione su alcuni temi ed è stato cauto a non allinearsi con il leader venezuelano Maduro. Dopo quattro anni passati ad attaccare Petro usando gli stessi argomenti, certi discorsi fanno meno leva sui colombiani”, secondo Sergio Guzmán, direttore dell’agenzia di consulenza Colombia risk analysis.

Anche se i guerriglieri dell’Esercito di liberazione nazionale (Eln), i gruppi dissidenti delle Farc e il narcotraffico continuano a controllare diverse regioni con la violenza e causano problemi di ordine pubblico, i colombiani che vivono nelle zone urbane sono più preoccupati da altri temi.

Seconda scena. Da insorgente a dirigente
“Abbiamo fatto un salto nel vuoto e siamo caduti in piedi. Li abbiamo spaventati”, ha detto Petro nel 2018 dopo aver perso le elezioni presidenziali contro Iván Duque, e il pubblico lo ha applaudito fragorosamente. Quella sera, dopo che i risultati erano stati resi noti, Petro ha riconosciuto la vittoria del suo avversario, ma ha sfruttato tutte le attenzioni, le videocamere accese e l’euforia dei sostenitori per annunciare i suoi piani per il futuro: “Mi chiamo Gustavo Petro e voglio essere il vostro dirigente”.

Ha detto di voler rientrare in senato, non solo per fare opposizione, ma per guidare da lì la costruzione di un movimento che avesse come base gli otto milioni di elettori che l’avevano sostenuto e che rappresentavano una mobilitazione popolare e giovanile.

Anche se ha militato in diversi partiti, Petro ha avuto una carriera politica abbastanza solitaria e personalistica

Negli ultimi quattro anni Petro ha mantenuto la promessa: ha cercato di dirigere, o quantomeno di convogliare e capitalizzare il malcontento dei giovani e di altri settori esclusi che sono scesi in piazza contro le disuguaglianze e le ingiustizie sociali, la disoccupazione e il lavoro in nero, la mancanza di assistenza sanitaria, la cattiva qualità e i costi elevati dell’istruzione, l’assenza di politiche d’inclusione a favore delle donne, delle persone lgbt e delle minoranze etniche. E per chiedere una riforma fiscale e pensionistica e politiche più attente all’ambiente.

L’ondata di proteste sociali, senza precedenti in Colombia, è cominciata alla fine del 2019 ed è continuata, nonostante la pandemia e per diverse settimane, nel 2021. “Il contesto è cambiato. La sinistra funziona al livello nazionale, ci sono molti giovani e sono molto più di sinistra di qualsiasi altra generazione”, osserva Sandra Botero, politologa e docente dell’università del Rosario, esperta di dinamiche elettorali.

Petro e il movimento che sostiene la sua candidatura sono la scelta più attraente per i giovani. Sono in sintonia con le sue proposte per affrontare la crisi climatica, il maltrattamento degli animali e le questioni di genere (la figlia di Petro, Sofía, è una femminista vegana che ha avuto un ruolo importante nella campagna elettorale). Come candidata alla vicepresidenza Petro ha scelto Francia Márquez, una leader delle comunità afrodiscendenti e un’importante attivista ambientale.

Nell’ultimo sondaggio del centro nazionale di consulenza (Cnc), il Pacto histórico è il favorito tra tutti i partiti e i movimenti politici (lo segue il Partito liberale, con il 9 per cento). Solo il tempo dirà se, in caso di vittoria, quest’alleanza riuscirà a resistere come partito, in grado di portare avanti un’agenda programmatica e a lungo termine, o se si rivelerà uno strumento elettorale di corto respiro.

Bogotà, 22 maggio 2022. Durante il comizio di chiusura della campagna elettorale di Gustavo Petro. (Sebastian Barros, NurPhoto/Getty Images)

Anche se ha militato in diversi partiti, Petro ha avuto una carriera politica piuttosto solitaria e personalistica, godendo del sostegno dei settori popolari ma senza avere intermediari. In ogni caso non è un outsider che arriva all’improvviso sulla scena politica, senza conoscere lo stato o le sue istituzioni dall’interno e senza esperienza per occupare la carica più importante del paese, come Pedro Castillo in Perù. La sua traiettoria non è paragonabile neanche a quella di Gabriel Boric, il millennial di sinistra, con cui però condivide l’idea che bisogna avvicinarsi ad altri settori, spostandosi verso il centro prima del ballottaggio, cercando di formare una coalizione più ampia per garantire una maggiore governabilità davanti a una destra recalcitrante e reazionaria.

Aggiungere altri, per usare le parole del padre del populismo argentino, il generale Juan Domingo Perón, significa “guidare”. È quello che Petro sembra fare ed è la differenza più grande tra la sua campagna elettorale di oggi e quelle precedenti. A Pacto histórico si sono avvicinate persone con cui alcuni anni fa Petro non si sarebbe mai seduto neanche a parlare, come Luis Pérez, che continua a difendere l’operazione Orión nella Comuna 13 di Medellín, quando era sindaco della città; il pastore cristiano Alfredo Saade, che si è espresso pubblicamente contro l’aborto; politici come Roy Berreras e Armando Benedetti, che hanno fatto carriera insieme all’ex presidente di destra Álvaro Uribe e che oggi sono suoi uomini di fiducia.

Terza scena. Una storia epica e strumentale
“Tendo a essere autoritario. È uno dei miei problemi, perché una personalità forte può mettere in difficoltà la squadra”, aveva ammesso Petro dieci anni fa, quando l’avevo intervistato in campagna elettorale.

La procura aveva destituito Gustavo Petro dalla carica di sindaco di Bogotá per la sua cattiva gestione dei rifiuti nella capitale. La sanzione prevedeva anche l’impossibilità di ricoprire cariche pubbliche per quindici anni. Ma Petro non si è fatto togliere di mezzo così facilmente. Il 20 dicembre 2013 ha convocato i suoi sostenitori in plaza de Bolívar. “Daremo vita al movimento degli indignati della Colombia… devono saperlo in tutto il paese… la nostra storia inizia anche dal popolo, senza dubbio, qui. La Bogotá umana diventi la scusa per costruire una Colombia umana, democratica e pacifica”.

Petro si era presentato in compagnia di sua moglie Verónica Alcócer e di sua figlia Sofía, che sventolava una bandierina con lo slogan “Petro non se ne va”. Il sindaco appena destituito aveva l’aria serena e forte, tra gli applausi e le grida di sostegno della gente.

Per certi versi la storia di Petro è paragonabile a quella dell’uruguaiano José Mujica o di Lula, che non si danno per vinti perché hanno una causa

Dopo alcuni giorni di proteste e un ricorso contro la decisione della procura, Petro è tornato trionfante a occupare la carica di sindaco e ha detto che era stato il sostegno popolare a fare la differenza davanti ai nemici che avevano cercato non solo di strappargli i suoi diritti politici, ma anche di attentare contro la sua vita per fermarlo.

Quest’anno all’inizio di maggio Petro ha sospeso la campagna elettorale perché ha ricevuto nuove minacce di morte. “È un evento il fatto che non sia ancora morto. Hanno ammazzato tutti”, ha dichiarato il suo ex compagno dell’M-19 Álvaro Jiménez.

Petro, che non ha mai perso quello che chiama il suo “istinto di uomo clandestino”, si muove con un imponente apparato di sicurezza che prevede non solo la scorta e auto blindate, ma anche uno schieramento di guardie del corpo con scudi antiproiettile durante i suoi discorsi.

Nessun altro candidato in questa campagna elettorale ha una storia paragonabile alla sua, con arresti e torture in carcere, un esilio di alcuni anni in Belgio, persecuzioni illegali, minacce e intimidazioni per aver denunciato la corruzione e i legami tra stato e paramilitari. La sua storia per certi versi è paragonabile a quella dell’ex presidente uruguaiano José “Pepe” Mujica o del brasiliano Lula, personaggi che non si danno per vinti perché, per usare le parole di Lula, sono “uomini con una causa”.

Il lato oscuro di questa storia epica è che Petro sembra credere troppo al mito grandioso di se stesso. La sua biografia è piena di frasi in cui esagera il suo ruolo come protagonista indiscutibile della storia nazionale, e in cui si vanta della sua intelligenza e delle sue capacità oratorie.

La storia politica latinoamericana ha avuto altri uomini che si sono sentiti giganti quando parlavano davanti alle folle per ore: Hugo Chávez e Fidel Castro, per esempio. Uomini che si sentivano gli eredi delle lotte troncate di padri e martiri della patria: Simón Bolívar e José Martí. Ma che hanno finito per essere ricordati come maestri della chimera: milioni di latinoamericani hanno creduto alle loro promesse di cambiamenti democratici e poi sono scappati dai loro governi autoritari.

Il caudillismo populista e messianico in America Latina continua a essere vivo oggi, con leader di sinistra e di destra: il presidente del Salvador Nayib Bukele e quello messicano Andrés Manuel López Obrador, per fare due esempi. Il problema di questi leader è che rischiano di sacrificare la democrazia sull’altare del loro desiderio di rifondare la patria, senza l’appoggio delle istituzioni, ma sostenuti dal sentimento del popolo .

(Traduzione di Francesca Rossetti)

Questo articolo è un’inchiesta della Red investigativa transforteriza. È uscito sul giornale online peruviano OjoPúblico. Internazionale ha una newsletter che racconta cosa succede in America Latina. Esce il venerdì, ogni due settimane. Ci s’iscrive qui.

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