06 novembre 2020 15:52

Un commento amaro del vignettista sudanese Khalid al Baih riassume in poche parole la realtà del mondo ai tempi di Donald Trump, dove non si cerca neanche di fingere di rispettare il diritto internazionale. La firma, il 23 ottobre, di un accordo tra il Sudan e Israele per la normalizzazione delle relazioni tra i due paesi è un esempio da manuale di come funzionano oggi i rapporti di forza globali.

“Il Sudan si unisce all”accordo’ di pace”, scrive Al Baih su Twitter, riferendosi al fatto che Israele ha già firmato intese simili con gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein. “In realtà il Sudan voleva un accordo in cui si sottolineasse che accettava l’‘accordo’ di pace per garantire la sopravvivenza dei suoi 40 milioni di abitanti. Se fai patire la fame ai bambini di un uomo abbastanza a lungo, lo convincerai ad accettare qualunque cosa tu dica”.

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Il Sudan sta seguendo un percorso fragile verso la democrazia. A qualche anno dalla prima ondata della primavera araba, nel 2019 i sudanesi sono scesi in piazza pacificamente per chiedere la fine della dittatura di Omar al Bashir, al potere da trent’anni. La repressione delle manifestazioni è stata feroce, ma il regime è caduto, grazie anche alla mobilitazione di donne come l’attivista Alaa Salah, che è diventata un’icona della rivoluzione (è la figura che viene calpestata nella vignetta di Al Baih). Il mese scorso è stata firmata ufficialmente la pace in Darfur, che ha chiuso una guerra terribile, conosciuta nel mondo grazie anche all’impegno di attori famosi come Georges Clooney. Oggi il paese sta affrontando un difficile periodo di transizione verso la democrazia, sotto la guida di un governo composto da militari e civili, e con le prime elezioni democratiche fissate per il 2022.

Economicamente il Sudan arranca. L’inflazione è alle stelle e a settembre ha superato il 212 per cento. Da mesi i sudanesi faticano a procurarsi pane, carburante e gas per uso domestico. Secondo il Programma alimentare mondiale (Pam), 9,1 milioni di sudanesi hanno bisogno di aiuti alimentari per sopravvivere.

Per più di cinquant’anni agli occhi degli israeliani, il Sudan è stato il paese dei “tre no”, ricorda il sito Times of Israel: no alla pace con Israele, no al riconoscimento di Israele, no ai negoziati con Israele. Questa linea era stata elaborata durante un vertice della Lega araba che si svolse proprio nella capitale sudanese Khartoum, poco dopo la fine della guerra dei sei giorni, nel 1967. Il Sudan ha partecipato con le sue truppe alla lotta contro Israele fin dal primo conflitto arabo-israeliano, nel 1948.

Via dalla lista del terrorismo
Secondo una fonte informata sui negoziati, svela il sito egiziano di inchieste Mada Masr, il primo ministro Abdallah Hamdok – il civile che guida le autorità di transizione di Khartoum – “si era inizialmente rifiutato di includere la normalizzazione dei rapporti con Israele nell’accordo, ma ha finito per accettare quando gli Emirati Arabi Uniti e gli Stati Uniti hanno promesso di aumentare la quantità di aiuti che sono disposti a erogare, fondi necessari a sostenere un’economia in difficoltà e a finanziare i piani di sviluppo di Hamdok”.

In parallelo alla firma dell’accordo di normalizzazione, il 19 ottobre gli Stati Uniti hanno annunciato che avrebbero cancellato il Sudan dalla lista dei paesi che sponsorizzano il terrorismo. Dal 1993, visto il sostegno dato da Omar al Bashir all’organizzazione palestinese Hamas, il Sudan era stato incluso nella lista nera, condizione che gli impediva qualsiasi accordo con organizzazioni internazionali. Esserne uscito permetterà finalmente al Sudan di accedere agli aiuti, prendere contatti con il Fondo monetario internazionale e ottenere quella boccata d’ossigeno necessaria alla sua sopravvivenza.

Le mosse statunitensi non ingannano nessuno

Queste mosse statunitensi “non ingannano nessuno”, scrive il quotidiano indipendente Sudan al Akhbar, secondo il quale era successa la stessa cosa nel 2017, quando furono tolte le sanzioni economiche. “Gli americani arrivano con accordi e mediazioni – che sono come miraggi per le persone assetate, e le scambiano per acqua – ma in fin dei conti l’unica cosa che conta sono le elezioni americane”, commenta il giornale sudanese.

Un sondaggio realizzato dall’Arab center for research and policy studies di Doha ha rivelato che il 79 per cento dei sudanesi sono contrari ad avvicinarsi a Israele. I principali partiti dell’opposizione hanno organizzato manifestazioni contro l’accordo in tutto il paese. Lo stesso Hamdok aveva fatto notare che un trattato così importante non avrebbe potuto essere firmato da un governo di transizione, e il giornale indipendente Al Tagheer critica la segretezza mantenuta sui negoziati, proprio nel momento in cui il paese cerca più democrazia e trasparenza. Oltre agli aiuti economici, i militari che fanno parte del governo hanno ricevuto importanti garanzie.

L’impunità per i crimini del Darfur
Dal 2005 la Corte penale internazionale (Cpi) indaga sulle accuse di genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità commessi nel Darfur. Dopo la caduta di Al Bashir, il Sudan ha fatto sapere di voler trasferire il giudizio del dittatore al tribunale con sede all’Aja. L’inchiesta, però, coinvolge anche alcuni militari che partecipano all’attuale governo, e in particolare il generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemetti, che all’epoca della guerra era il leader delle milizie janjaweed e oggi è l’uomo forte dell’ala militare del governo.

In un rapporto del 2015 l’organizzazione Human rights watch accusa Hemetti di aver ordinato “torture, esecuzioni extragiudiziali e stupri di massa” in Darfur. Il 3 giugno 2019 gli agenti ai suoi ordini hanno ucciso più di cento manifestanti, violentato e commesso abusi sessuali contro decine di persone. Secondo Alaa Salah, il volto delle proteste dell’anno scorso, “per anni Hemetti ha ucciso e fatto terra bruciata del Darfur. Ora il Darfur è arrivato a Khartoum”.

Secondo fonti egiziane ben informate, il segretario di stato americano Mike Pompeo ha detto che gli Stati Uniti avrebbero fatto forti pressioni per evitare a Hemetti un processo presso la Cpi.

Una mano alle forze controrivoluzionarie
Secondo Youssef Cherif, direttore del Columbia global centers di New York, una delle più importanti conseguenze dell’alleanza con Israele sarà la maggiore disponibilità di strumenti avanzati di spionaggio in mano alle forze controrivoluzionarie di tutta la regione: “C’è già una forte cooperazione tra Israele, gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita, come rivelato recentemente dalla stampa internazionale. Questo tipo di accordi (sullo scambio di tecnologie di sicurezza) si diffonderanno e i più avanzati strumenti di spionaggio saranno ampiamente disponibili. A farne le spese sarà l’Iran, ma anche tutte quelle popolazioni arabe che chiedono la libertà”.

L’accordo di Israele con il Sudan, dopo quello con Emirati e Bahrein, crea così un nuovo assetto geopolitico nel mondo arabo, con gli Emirati, sostenuti dall’Arabia Saudita e da Israele, costituiranno una potente forza antirivoluzionaria.

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