10 dicembre 2020 09:32

Da almeno un mese vari scienziati denunciano la “scienza basata sui comunicati stampa”. Ha cominciato l’azienda farmaceutica statunitense Pfizer, seguita dalla sua concorrente Moderna e poi dall’azienda anglo-svedese AstraZeneca: tutte hanno annunciato il successo dei loro potenziali vaccini contro covid-19 senza però fornire i dettagli necessari a una corretta interpretazione dei loro risultati, e senza poter contare sulla pubblicazione in una rivista scientifica di primo piano.

Dall’8 dicembre la pubblicazione è cosa fatta per l’AstraZeneca. “Ci è stata chiesta trasparenza, ed è esattamente ciò che garantiamo oggi”, ha dichiarato Mene Pangalos, vicepresidente esecutivo del laboratorio. “E siamo i primi a farlo”. Superata dai suoi due concorrenti nella corsa al comunicato stampa, l’azienda con sede a Cambridge è stata la prima a superare il test delle pubblicazioni.

La rivista The Lancet e i suoi revisori hanno convalidato l’8 dicembre i risultati presentati il 22 novembre dalla casa farmaceutica e dalla sua partner, l’università di Oxford.

L’articolo indica chiaramente che il potenziale vaccino, concepito secondo la tecnologia dei vettori virali, è efficace al 70 per cento. “L’articolo conferma quanto era stato annunciato, il che non è affatto sorprendente. I laboratori non si divertono a inventare dati”, ha reagito Jean-Daniel Lelièvre, responsabile del reparto d’immunologia clinica e malattie infettive dell’ospedale Henri-Mondor di Créteil. “Convalida la strategia del vettore virale ma non permette di risolvere la questione del dosaggio”.

Per quanto riguarda l’approvazione, la rivista sostiene che il vaccino “è sicuro”. Sui 23.754 volontari che hanno partecipato alla sperimentazione – alla metà dei quali era stato somministrato un placebo – solo uno dei pazienti che ha ricevuto il vaccino ha subìto un “grave effetto indesiderato che potrebbe essere correlato” all’iniezione: un caso di mielite trasversa (un raro disturbo neurologico), che aveva portato alla sospensione temporanea della sperimentazione all’inizio di settembre.

Il laboratorio dovrebbe comunque seguire i volontari per un periodo di due anni, per garantire l’innocuità del vaccino a lungo termine

Sono stati rilevati altri due casi di effetti indesiderati gravi, tra cui uno nel gruppo di quanti hanno ricevuto un placebo. Altri sono stati registrati ma rimangono moderati: affaticamento, dolori muscolari, febbre leggera, e così via. Il laboratorio dovrebbe comunque seguire i volontari per un periodo di due anni, per garantire l’innocuità del vaccino a lungo termine.

È tuttavia sul campo dell’efficacia e del giusto dosaggio che si concentreranno ora tutte le attenzioni e gli eventuali studi supplementari. Questo perché, nella sperimentazione di fase tre avviata dalla AstraZeneca, un vaccino ne ha in realtà nascosto un altro. Il protocollo prevedeva due dosi di vaccino da iniettare a distanza di un mese l’una dall’altra. È quel che è stato fatto su oltre quattromila volontari brasiliani e quasi cinquemila britannici. Ma un piccolo gruppo di 2.700 volontari britannici ha ricevuto per errore mezza dose nel corso della prima iniezione.

Sorprendentemente, mentre le due dosi previste hanno mostrato un’efficacia del 62 per cento, la procedura “difettosa” si è dimostrata efficace al 90 per cento. L’unico problema è che “il campione rimane insufficiente per trarre conclusioni”, ha affermato la specialista in malattie infettive Odile Launay, che coordina il Centro d’indagini cliniche Cochin-Pasteur. Fatto peggiore, “non comprende alcuna persona di età superiore ai 55 anni”. È noto invece che l’età è il primo fattore di rischio. E quindi, cosa fare?

L’articolo, scritto dagli scienziati del laboratorio farmaceutico e dell’università di Oxford, descrive in dettaglio i risultati dei due gruppi e poi… li riunisce. Questo determina un tasso complessivo del 70 per cento. I revisori di The Lancet non hanno avuto nulla da obiettare, ma saranno ora le autorità sanitarie a dover prendere una decisione. Le agenzie sanitarie del Regno Unito (Mhra) e dell’Unione europea (Ema) sono già state contattate per richiedere un’autorizzazione “condizionata”. Ma cosa prenderanno in considerazione? E cosa consiglieranno? Secondo Andrew Pollard, direttore dell’Oxford vaccine group, che ha sviluppato il prodotto, le autorità di regolamentazione dovrebbero esaminare la procedura prevista inizialmente, e che prevede due dosi complete: “È così che avevano previsto di fare. Noi gli abbiamo fornito tutti i dati. Sta quindi a loro decidere”.

Servono studi complementari
Dati i limiti di questo regime miracoloso, in termini sia di campione testato sia della sua composizione, sembra effettivamente improbabile che il regime a mezza dose sia mantenuto. Tanto più che il 62 per cento ottenuto rimane superiore al 50 per cento richiesto dall’Organizzazione mondiale della sanità per approvare un trattamento come vaccino. Inoltre AstraZeneca ha due grandi vantaggi: il suo vaccino, che secondo le promesse costerà 2,50 euro a dose, è da sei a dieci volte più economico di quello dei suoi due concorrenti. Inoltre non richiede uno stoccaggio a temperature basse (20 gradi sotto zero) o molto basse (70 gradi sotto zero).

Il passaggio davanti alle autorità sanitarie non sarà però una formalità. “Anche nel gruppo principale c’è una grave carenza di anziani”, ha spiegato Jean-Daniel Lelièvre. “Meno del 10 per cento dei volontari britannici e meno dell’1 per cento dei brasiliani ha più di settant’anni. Tuttavia, le Ehpad (case di cura per anziani non autosufficienti), che saranno le prime a essere oggetto della vaccinazione in Francia, accolgono ospiti spesso molto più anziani. L’agenzia richiederà ulteriori studi? Oppure consiglierà il vaccino solo ai più giovani?”.

Fiale di vaccino AstraZeneca in un laboratorio a Pune, in India, 30 novembre 2020. (Francis Mascarenhas, Reuters/Contrasto)

“Al di fuori di un contesto di pandemia come questo, le autorità avrebbero sicuramente richiesto ulteriori studi”, secondo Odile Launay. “In questo caso, possono concedere un’autorizzazione condizionata, in attesa di ulteriori risultati”. La statunitense Food and drug administration (Fda) ha, da parte sua, già fatto sapere che richiederà questi famosi studi supplementari. Non ci sono abbastanza anziani o minoranze etniche – un altro gruppo a rischio – nella sperimentazione iniziale. L’azienda britannica ha avviato nuovi test negli Stati Uniti e ha deciso di aspettare prima di presentare la domanda di autorizzazione d’emergenza all’agenzia statunitense.

Alcune sorprese nello studio della Pfizer/Biontech
È quindi di due altri candidati – i vaccini della Pfizer e della Moderna – che la Fda si occuperà in maniera prioritaria. Accusata di aver condotto una procedura poco trasparente, poiché né la Pfizer né la Moderna avevano pubblicato i loro risultati seguendo i canoni scientifici, l’agenzia aveva annunciato che avrebbe “tentato” di pubblicare i dossier e i loro dati due giorni prima dell’audizione dei candidati. Ha mantenuto la sua parola. La Pfizer e la sua partner, l’azienda tedesca Biontech, saranno ricevute nel corso di un’audizione il 10 dicembre. L’8 dicembre l’Fda ha reso pubblici sul suo sito diversi documenti, tra cui un’analisi dei test di cento pagine, che presenta alcune sorprese.

La Pfizer ha effettuato i suoi test di fase tre su 44mila volontari, reclutati negli Stati Uniti, in Brasile e in Argentina. La metà di loro ha ricevuto due dosi di vaccino a tre settimane di distanza. L’altra metà ha ricevuto due dosi di placebo, il tutto senza che né volontari né medici conoscessero la natura del prodotto iniettato. L’anonimato viene tolto solo tra i pazienti, per confrontare l’incidenza della malattia nei due gruppi, e quindi l’efficacia del vaccino. Studiando i volontari rimasti infetti a partire dalla seconda settimana dopo la seconda iniezione, il laboratorio aveva osservato che, delle prime 170 persone, 162 avevano ricevuto il placebo, e otto il vaccino, il che equivale a un’efficacia del 95 per cento. Un risultato impressionante e confermato dall’Fda.

Ma un attento esame dei dati ha permesso di spingersi oltre. I ricercatori hanno osservato entrambi i gruppi fin dalla prima iniezione. Se per dieci giorni questi hanno seguito le stesse curve di contaminazione, dopo tale punto le loro traiettorie hanno cominciato chiaramente a differire. Confrontando solo coloro che si sono ammalati prima della seconda iniezione, emerge un’efficacia del 52 per cento. La Fda avverte che “in assenza di un follow-up prolungato, non si possono trarre conclusioni su una strategia a dose singola”. Ciononostante negli Stati Uniti, dove la pandemia sta raggiungendo proporzioni gravi e minaccia di sovraffollare gli ospedali, questa prospettiva di un’azione rapida, anche prima della seconda iniezione, non passerà inosservata.

Altra notizia rassicurante, “non sembra esserci alcun indebolimento della protezione nei due mesi che seguono la seconda dose”, sostiene la Fda. Ma due mesi non sono molti. L’agenzia raccomanda di mantenere i due momenti della sperimentazione e quindi di non offrire il vaccino al gruppo dei placebo, come invece era previsto. Un dato ancora più importante riguarda i gruppi a rischio. Sempre secondo l’analisi preliminare della Fda, non solo gli anziani, ma anche le persone obese, quelle che soffrono di co-morbilità o ancora quelle appartenenti a minoranze minacciate, svilupperebbero la stessa protezione delle altre persone. Il laboratorio lo aveva dichiarato senza fornire alcun dettaglio. L’agenzia l’ha confermato ufficialmente.

Rimangono gli effetti indesiderati. I documenti dell’Fda ci permettono di comprenderli meglio. L’agenzia stima che non ci siano, tra il gruppo vaccinato e il gruppo dei placebo, “differenze significative” per quanto riguarda le poche complicazioni gravi registrate. Nel primo gruppo sono effettivamente stati registrati quattro casi di “paralisi di Bell”, un disturbo che colpisce i muscoli facciali, contro gli zero del secondo gruppo. Ma l’agenzia afferma che l’incidenza di quattro su ventimila non supera il tasso osservato nella popolazione generale.

Molti effetti collaterali, moderati ma sensibili, sono stati invece registrati dopo la seconda iniezione di vaccino. Mal di testa, stanchezza, dolori muscolari e brividi hanno colpito, a seconda del disturbo, da un terzo a oltre metà dei volontari, in particolare quelli sotto i 55 anni di età. Bisogna quindi prevedere un permesso dal lavoro per malattia di 24 ore per chi riceve un vaccino contro il covid-19? È sicuramente una delle lezioni ricavate dall’operazione di trasparenza della Fda.

(Traduzione di Federico Ferrone)

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