16 aprile 2021 16:20

Alberta era seduta accanto a me su un muretto a picco sul mare. Ci trovavamo sulla terrazza di una grande villa di Posillipo. Davanti a noi, appoggiata sull’orizzonte, l’isola di Capri ci teneva compagnia durante le lunghe ore di attesa tra una ripresa e l’altra. Era il marzo del 2019 e ci trovavamo sul set di un film di Cristina Comencini: Alberta in quanto acconciatrice e io come accompagnatore di mia figlia, che recitava una parte nel film. Tra noi si era instaurata quella speciale intimità che durante le riprese lega i componenti di una troupe, che per un paio di mesi passano una sproporzionata quantità di tempo insieme, spesso lontani da casa e dalle loro famiglie.

Alberta, una signora con i capelli rosso rame e gli occhi verdi e limpidi, ripercorreva con me alcuni momenti della sua carriera di parrucchiera. “No, non parrucchiera”, mi ha corretto: “Acconciatrice”. Un lavoro in cui ha messo fatica e passione, ottenendo grandi riconoscimenti. Faceva una certa impressione sentirla parlare dei giganti del cinema con cui ha lavorato, tra cui Zeffirelli e Fellini, per citarne un paio. Il rombo delle onde che si infrangevano sugli scogli sottostanti ci costringeva a parlare a un tono di voce più alto del normale. Alberta mi ha raccontato che, per quanto ami il suo mestiere, non è stata affatto contenta quando suo figlio Francesco le ha annunciato di voler seguire le sue orme. “Ho cercato di scoraggiarlo in tutti i modi, gli ho consigliato di lasciare stare. Faceva l’università, mi dispiaceva che mollasse tutto, ma lui niente: si era messo in testa ’sta cosa e non ha sentito ragioni. E alla fine invece è diventato proprio bravo, guarda un po’ qua”. Alberta mi ha passato il suo telefono e mi ha mostrato la foto di una ragazzina in costume d’epoca: aveva la carnagione pallidissima e i capelli raccolti in boccoli di un azzurro sbiadito, decorati con una delicata coroncina di fiori secchi. Era un’immagine magica e inquietante al tempo stesso. “Sta lavorando a Pinocchio, il nuovo film di Matteo Garrone, e queste sono le prove di acconciatura per la fata turchina. È bravo, vero?”.

Francesco Pegoretti bravo lo è davvero e a pensarlo non è solo sua madre: negli ultimi anni ha lavorato nei film di alcuni dei più importanti registi italiani tra cui Daniele Lucchetti e Gabriele Salvatores, ma anche in produzioni internazionali come Carnival row, la serie tv con Orlando Bloom e Cara Delevigne, e il remake di Ben Hur del 2016. A 41 anni è l’acconciatore italiano più premiato della sua generazione e anche il più giovane ad aver mai ricevuto il David di Donatello, che ha già vinto due volte. E ora, proprio grazie al suo lavoro in Pinocchio di Matteo Garrone, ha aggiunto al suo impressionante curriculum una conquista a cui arrivano davvero in pochi: la candidatura all’Oscar.

Francesco Pegoretti sul set di Pinocchio, 2019. (Greta De Lazzaris)

“Anche se di solito lo dicono di qualcos’altro, il mestiere più vecchio del mondo è il parrucchiere”, mi dice ridendo Francesco, seduto nel luminoso soggiorno di casa sua nel quartiere Aurelio a Roma, dove l’ho incontrato. “Sistemarsi i capelli è un’esigenza che esiste dalla notte dei tempi: gli egizi ovviamente usavano le parrucche, ma già nei bassorilievi degli assiro-babilonesi si notano pettinature molto sofisticate. E chi ti credi che gliele faceva quelle?”. Sono passati due anni dalla mia conversazione con sua madre, da cui Francesco oltre al talento ha ereditato anche gli occhi brillanti, e gli faccio notare che lei correggerebbe quel suo “parrucchiere” con “acconciatore”. “Sì, in effetti la definizione giusta è acconciatore, anche se a me quella che piace di più è hair designer, come dicono in inglese. Se non rischiassi di sembrare pretenzioso userei sempre quella, perché ti dà l’idea del lavoro che c’è dietro, un po’ come costume designer per costumista”.

Mi racconta che nell’industria cinematografica americana acconciatori e costumisti godono di pari grado: “Sono due mansioni ben distinte, ognuno si occupa del suo orticello e guai a intromettersi uno nel lavoro dell’altro. Ognuno è responsabile del suo settore e rende conto solo al regista”. “Da noi invece”, continua Pegoretti, “c’è la tradizione che a dettare l’estetica dei personaggi sia il costumista e che i responsabili di trucco e acconciature si coordinino con lui. È un po’ la scuola del maestro Piero Tosi, il nostro più grande costumista, che per il look dei personaggi partiva sempre dalle teste e poi creava il resto dei costumi, e che quindi aveva grande voce in capitolo anche sulle acconciature e il trucco. Dunque io cerco sempre di creare una buona collaborazione con il costume, anche se faccio in modo che non sia solo una collaborazione a senso unico e ci sia spazio per uno scambio di proposte”.

Dalla testa ai piedi
Francesco, che considera il suo mestiere un’arte a tutti gli effetti, nei film ricorre spesso all’uso di parrucche: “Mi piacciono perché mi permettono di cambiare radicalmente l’aspetto degli attori e di creare personaggi distanti dalla loro immagine. In Italia abbiamo il vizio di mantenere le attrici sempre uguali: ne abbiamo alcune bravissime che però hanno gli stessi capelli in tutti i film e se vedi una loro foto di scena è difficile capire da che film è tratta. In Napoli velata di Ferzan Özpetek, per esempio, ho messo parrucche a tutte: volevo un’Isabella Ferrari completamente diversa da come siamo abituati a vederla; a Lina Sastri ho perfino messo un caschetto biondo!”. Per lui, insomma, i capelli contribuiscono esattamente quanto i costumi alla creazione del personaggio.

La prima volta che è stato su un set, Francesco aveva quattro anni. Il papà l’aveva portato a trovare sua madre in Basilicata, dov’era impegnata per le riprese di King David, un film con Richard Gere uscito nel 1985. “Ho un ricordo molto nitido di quella giornata. C’erano tutte queste armature, era bellissimo”. Negli anni poi ha raggiunto la madre sempre più spesso, anche perché capitava di frequente che lei passasse mesi fuori casa per lavoro. “Mi piaceva da matti stare sul set, mi mettevo a un angolino a osservare tutto e cercavo di imparare, ma mi sentivo sempre un po’ un intruso. Da un certo momento in poi, per rendermi utile ho cominciato a dare una mano a mia madre. Ricordo chiaramente una volta in Sicilia, avrò avuto 17 anni, in cui mamma, oberata di lavoro, a un certo punto mi fa: ‘Senti France’, fai un attimo la riga in mezzo a quell’attrice, va. Fammi il piacere, se hai finito falle pure una messa in piega. Ok, bene, ora le leghi i capelli già che che ci sei?”. Insomma, a un certo punto mamma guarda l’attrice e si rende conto che non solo l’avevo pettinata tutta io, ma avevo pure fatto un ottimo lavoro. È rimasta sorpresa”.

Francesco Pegoretti sul set di Pinocchio, 2019. (Greta De Lazzaris)

Dopo la maturità Pegoretti alterna per qualche anno gli studi universitari in storia dell’arte con qualche impiego sul set. “Quando ho detto a mamma che avrei lasciato l’università per lavorare nel cinema a tempo pieno non l’ha presa bene. Vedi, lei per me voleva un futuro migliore del suo, ambiva al salto sociale, e non era contenta che io restassi al suo livello”. Anche se non ha finito l’università, però, Francesco non ha mai smesso di coltivare il suo amore per l’arte e la storia. Le pareti di casa sua sono ricoperte fino al soffitto di quadri e stampe antiche, che negli anni ha collezionato perlustrando mercati delle pulci e antiquari; in giro per casa ci sono anche un’infinità di ceramiche siciliane, acquasantiere, ex voto e ricami. Considera fondamentale per la sua professione avere una profonda conoscenza dell’arte: “Il mio non è un mestiere per ignoranti. Devi studiare, sapere com’erano pettinate le persone in passato, come riprodurre lo stile di un’epoca senza cadere nell’effetto francobollo. Soprattutto con gli uomini più giovani, che rischiano sempre di sembrare ingessati, cerco sempre di attualizzare la capigliatura di un dato periodo con qualche piccola libertà stilistica – che ne so, magari tengo le basette lunghe come si portavano all’epoca ma gli sistemo i capelli in modo un po’ più moderno, per rendere il personaggio più attraente per il pubblico di oggi senza però perdere l’accuratezza storica”.

Quando era bambino, in casa c’era un’enciclopedia dell’arte che lui sfogliava spesso: “La sapevo a memoria. Ancora oggi, quando devo immaginare l’acconciatura di un personaggio, mi tornano in mente tutti quei visi dei capolavori che mi guardavano dalle pagine. Io in testa ho un catalogo infinito di facce, che tiro fuori all’occorrenza. E non solo dal passato, anche del presente. Spesso mi capita di fotografare di nascosto qualche passante, perché mi serve come idea per un progetto a cui sto lavorando. Oppure, nel caso di Pinocchio, per le capigliature dei compaesani di Geppetto avevo in mente tutti i vecchietti del mio paese. Ho rifatto loro uno per uno, esattamente come me li ricordavo”.

Dalla Sabina a Los Angeles
Il paese in questione, dove Francesco è cresciuto, si chiama Castelnuovo di Farfa ed è in provincia di Rieti. Quando parla della sua infanzia in Sabina il suo sguardo s’illumina di nostalgia per un mondo che non c’è più. Questa sua devozione per il passato si respira tutta intorno a lui, dai quadri antichi appesi alle pareti alle sue scelte professionali: “Una volta mi hanno chiamato per un film girato ai tropici ma io ho rifiutato per andare a fare la mini serie su Anna Karenina. Chiunque altro giustamente sarebbe corso a fare il film in spiaggia, ci pensi che sogno? Ma io sono finito in Lituania, a meno venti gradi, perché l’idea di un soggetto d’epoca mi piaceva troppo di più”. Per Anna Karenina, Francesco Pegoretti ha vinto una delle sue tre Chiome di Berenice, il massimo riconoscimento per gli artigiani e artisti dell’industria cinematografica italiana.

La candidatura all’Oscar non è stata una notizia arrivata di punto in bianco, ma il risultato di un processo molto più burocratico di quanto si possa pensare. Oltre a Francesco Pegoretti, per Pinocchio sono candidati anche Mark Coulier e Dalia Colli, che condividono con lui la nomination per trucco e acconciature, mentre Massimo Cantini Parrini è candidato per i migliori costumi. “Quando ho saputo che il protesico di Pinocchio sarebbe stato realizzato da Mark”, racconta Francesco, “ne sono stato molto felice”. Il britannico Mark Coulier è infatti considerato uno dei massimi specialisti del trucco protesico – cioè l’utilizzo di protesi scolpite, stampate o fuse, per creare effetti cosmetici avanzati – con cui ha già ottenuto la statuetta due volte per Iron lady con Maryl Streep e Gran Budapest Hotel di Wes Anderson. Il suo lavoro ha permesso a Garrone di non ricorrere all’animazione digitale per il personaggio di Pinocchio, dove il giovane attore Federico Ielapi recita indossando una maschera di silicone. Insieme all’ottimo lavoro di Coulier, però, l’Academy ha voluto riservare il suo riconoscimento a tutto l’impianto estetico del film, comprese quindi le acconciature realizzate da Pegoretti. Quando Garrone ha visto la parrucca che aveva creato per la fata turchina, gli ha detto: “Questo è il tuo capolavoro”.

La prima notifica che qualcosa a Los Angeles si stava muovendo è stata una lettera che informava Francesco di essere stato preso in considerazione dall’Academy. Si tratta di una sorta di avviso di garanzia, con cui un elevato numero di papabili candidati viene preventivamente avvisato di essere oggetto di interesse. Il passo decisivo però è avvenuto qualche settimana più tardi, quando i membri dell’Academy appartenenti al settore trucco e acconciature hanno inserito Pegoretti in una short list di dieci nomination. “Improvvisamente la possibilità di essere candidati è diventata molto più concreta”, mi racconta lui ricordando l’emozione di quel momento. “A quel punto mi è stato chiesto di inviare un testo di cento parole per raccontare il mio lavoro nel film e poi ho dovuto sostenere un colloquio di due ore via Skype con alcuni membri dell’Academy, che mi hanno fatto domande a raffica sulle tecniche che ho usato e le scelte stilistiche che ho fatto. Ne sono uscito devastato, molto peggio che un colloquio di lavoro!”.

Ma a quanto pare ha funzionato, perché Francesco, insieme a Coulier e Colli, a quel punto è stato inserito nella cinquina dei candidati all’Oscar. Eppure la trafila burocratica non si è conclusa lì: nei giorni successivi al nostro incontro Francesco ha dovuto presentare una sorta di trailer di sette minuti in cui mostra le acconciature più importanti del film e poi tenere un discorso per perorare la sua causa davanti ai giudici dell’Academy in una serata chiamata Make up and hair styling symposium, che quest’anno a causa della pandemia si è svolta online.

Ho chiesto a Francesco cosa cambierebbe nella sua vita se nella notte tra il 25 e il 26 aprile dovesse vincere un Oscar. “Dal punto di vista lavorativo mi aprirebbe molte porte nel mercato internazionale, ma in Italia potrebbe essere perfino un’arma a doppio taglio: magari se vinco pensano che sono diventato troppo caro o che mi sono montato la testa, e non mi chiamano più!”, risponde ridendo. Ma poi torna serio: “Dal punto di vista umano sarebbe un bellissimo riconoscimento per tutto quello che ho fatto finora. A Castelnuovo vedo tutti così emozionati per questa cosa, sento che fanno il tifo per me e mi piacerebbe vincere anche solo per renderli felici. Però devo dirti che per me essere candidato è già un traguardo enorme, in cui fermarmi un attimo e da cui poi puntare ancora più in alto per il futuro”. Per la prima volta Francesco, inguaribile nostalgico, parla di futuro. Non pensa mai a fare un film di fantascienza? “Se mi chiameranno a farlo lo farò di certo, perché mi piace pensare di poter fare tutto. Però quanto vorrei che ogni tanto si facesse un film su un futuro radioso, verde, senza guerre! Ci hai fatto caso che il cinema di fantascienza invece è sempre disastroso? Arrivano gli alieni, cade un asteroide, la terra si congela… Nei film sul futuro hanno tutti i capelli sporchi e coperti di fango, mai nessuno che pensasse a un domani dove si portano acconciature scintillanti e sofisticate!”.

Mentre Francesco continua la sua divertente invettiva contro la mancanza di stile nei film apocalittici, mi cade lo sguardo su una delle tante foto esposte in soggiorno. Sua madre Alberta, bellissima e poco più che ventenne, è sdraiata su una spiaggia in un giorno d’inverno. Non l’ho più vista di persona dopo i nostri giorni a Posillipo, ma immagino la sua commozione quando ripensa a quel bambino di quattro anni che andava a trovarla sul set e che oggi, grazie a una determinazione invidiabile e un talento raro, ha compiuto quel salto sociale che lei tanto sognava per lui. Per Alberta, ne sono certo, a prescindere da cosa succederà nella notte degli Oscar, Francesco ha già vinto.

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