“Cos’hanno in comune Elon Musk, Peter Thiel, David Sacks e altri? Sono figure pubbliche che esercitano un potere e un’influenza considerevoli negli Stati Uniti. E tutti hanno passato la loro infanzia nel Sudafrica dell’apartheid”, nota Rebecca Davis sul sito sudafricano Daily Maverick.

Musk, 53 anni, è un personaggio impossibile da ignorare: è l’imprenditore delle nuove tecnologie diventato l’uomo più ricco del mondo, è stato tra i fondatori di PayPal e oggi controlla la Tesla, la SpaceX e il social media X (ex Twitter). Di questi tempi lo vediamo al fianco del presidente statunitense Donald Trump. Il giorno del suo insediamento, Musk ha partecipato a un incontro pubblico in cui ha fatto due volte un gesto che molti hanno interpretato come il saluto nazista. Meno noto è che ha vissuto fino ai 17 anni nel Sudafrica dell’apartheid.

Anche Peter Thiel, 57 anni, è cresciuto in Sudafrica e in Namibia, dove il padre ingegnere minerario lavorava per il governo sudafricano dell’apartheid a un programma clandestino per sviluppare armi nucleari. Thiel è stato un altro dei fondatori di PayPal e di Palantir technologies, specializzata nell’analisi dei big data. David Sacks, 52 anni, anche lui fondatore di PayPal, è il consigliere speciale di Trump per l’intelligenza artificiale e le criptovalute. Ha vissuto a Città del Capo fino ai 5 anni.

Simon Kuper, del Financial Times, aggiunge a questa lista il nome di Paul Furber, un informatico e giornalista sudafricano mezzo sconosciuto che qualche anno fa è stato individuato da alcuni ricercatori come colui che per primo ha diffuso in rete la teoria cospirativa QAnon (un articolo che spiega cos’è), che ha impazzato tra i sostenitori di Trump negli Stati Uniti e non solo (l’articolo di Wu Ming su Internazionale). “Per farla breve”, scrive Kuper, “tra le voci più influenti del movimento Make America great again (Maga) ci sono dei cinquantenni bianchi che hanno avuto un’esperienza formativa in Sudafrica. Probabilmente non è una coincidenza”.

Condizionamenti d’infanzia

Il personaggio di Elon Musk è sicuramente quello che è stato più analizzato dai mezzi d’informazione di tutto il mondo, in particolare dopo la pubblicazione della biografia Elon Musk di Isaac Walterson (Mondadori 2023). Nato nel 1971 a Pretoria, in piena segregazione razziale, è rimasto a vivere in Sudafrica fino a 17 anni, prima di trasferirsi in Canada. In un articolo sulle sue origini il New York Times nota che Musk ha vissuto a Pretoria e poi nella città costiera di Durban, in “comunità suburbane dove la disinformazione imperava. A volte i giornali arrivavano a casa con intere sezioni cancellate e i notiziari serali terminavano con l’inno nazionale e un’immagine della bandiera che sventolava mentre scorrevano sullo schermo i nomi dei giovani bianchi uccisi combattendo per il governo”.

Oltre ad aver avuto a che fare con un ambiente aggressivo e machista, “pregiudizi e razzismo erano inevitabili nel Sudafrica degli anni ottanta”, sottolinea Eve Fairbanks su The Dial, facendo notare che nel libro di Walterson questi aspetti sono trascurati. “L’appartenenza razziale era indicata nella carta d’identità. Le scuole erano segregate. I neri sudafricani non potevano entrare nei quartieri urbani bianchi senza un ‘lasciapassare’ firmato da un datore di lavoro bianco. Ai campi ricreativi in cui i ragazzi venivano portati a contatto con la natura, le veldskool, ai giovani veniva instillata la paura per i pericoli che i ‘terroristi’ (come il governo chiamava i combattenti per la liberazione dei neri) rappresentavano per i bambini bianchi. Si sottolineavano anche le minacce nascoste nel progressismo occidentale (la cultura che aveva generato la musica rock e l’amore libero, ma che aveva anche contribuito ad abbattere la segregazione negli Stati Uniti)”.

Nel corso degli anni Musk ha continuato a mettere in guardia i suoi follower su Twitter (ora X) dal genocidio dei bianchi, una teoria complottista secondo cui un giorno i neri sudafricani avrebbero ucciso tutti i loro connazionali privilegiati. L’ha fatto anche dopo la presidenza di Nelson Mandela, che si sforzò in ogni modo di placare le tensioni razziali.

Nelle generazioni

Prima di Musk a diffondere teorie cospirative fu il nonno J. N. Haldeman che, come racconta Jill Lepore sul New Yorker, “attribuiva tutti i mali del mondo ai banchieri ebrei. Di certo Elon Musk non è responsabile per le opinioni politiche del nonno. Ma l’eredità di Haldeman fa luce sul ruolo svolto dai social media. Quando Musk ha comprato Twitter ha spiegato di voler fermare il virus della mentalità woke che si stava diffondendo online. Il nonno, ai suoi tempi, denunciava il controllo della mente esercitato da radio e tv per condurre una guerra di propaganda incondizionata contro l’uomo bianco”.

Haldeman aderì anche al movimento fascistoide della tecnocrazia, i cui sostenitori credevano che a governare dovessero essere scienziati e ingegneri, piuttosto che il popolo. Probabilmente gli scritti di Haldeman, con le sue idee razziste e antisemite, furono letti da pochi simpatizzanti a Pretoria e dintorni, riflette Lepore: “Se scrivesse oggi, probabilmente diffonderebbe le sue idee su Facebook, YouTube, Twitter, Reddit, 4chan e altro ancora. E gli algoritmi le farebbero arrivare a migliaia, forse milioni di persone”.

Il Sudafrica dell’apartheid, riassume Simon Kuper, corrispondeva a “una versione estrema di alcuni temi al centro della vita quotidiana nell’America di oggi. Innanzitutto, le disuguaglianze, che a quei tempi erano terribili. Ma per i bianchi con una certa visione del mondo, quelle disuguaglianze non erano una conseguenza dell’apartheid: pensavano che fossero iscritte nella natura delle cose. In un sistema capitalistico di quel genere alcune persone erano attrezzate per avere successo, altre no”.

Una seconda caratteristica che accomuna alcuni sudafricani che hanno vissuto l’apartheid e la destra statunitense di oggi è, secondo Kuper, “il disprezzo per il governo: prima il regime bianco, poi il governo dell’African national congress, hanno lasciato milioni di sudafricani senza elettricità, dignità, sicurezza e scuole decenti. Un’esperienza che può incoraggiare un’ideologia libertaria e alimentare l’ostilità a uno stato forte”.

Questo testo è tratto dalla newsletter Africana.

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